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Cosa fare con Alitalia?

L'analisi di Paolo Rubino

 

L’imminenza e la necessità delle scadenze spingono tanti ad occuparsi di Alitalia e, più in generale, del trasporto aereo nel nostro paese. Se ne occupano gli esperti in ponderosi articoli ospitati sulla grande stampa. Gli appassionati, mai assenti su quest’argomento nell’ampia giungla dei blog. I cronisti, perché l’argomento fa audience. I sindacati, per difendere ciò che resta del lavoro nazionale di settore. I politici, per grattare consenso. I governanti, per dovere di ruolo. Gli amministratori dell’azienda, per mandato ricevuto. I consulenti, per conferire metodo e legittimità alle scelte degli amministratori. Gli amministratori di altre aziende, prossime di settore, che scorgono l’opportunità nobilitante di occuparsi dei cieli. Le banche, per timore di essere chiamate a fornire i mezzi finanziari. Insomma, un’enorme massa cerebrale che, in passato, ha talvolta partorito topolini, ma di cui certamente non si può lamentare l’enorme potenziale di intelligenza.

È probabile, se non altro auspicabile, che l’infinito data base di idee, analisi, progetti, insegnamenti seguiti ai fallimenti, pratiche arcinote dell’industria mondiale di settore consentano questa volta di disegnare e poi fare la “cosa giusta”. Espressione lanciata oltre trent’anni fa da Spike Lee e diventata topica nel gergo cinematografico e letterario americano, molto appropriata nel caso che ci occupa. Aggiungere ancora analisi, idee, progetti, consigli, commenti, critiche, esortazioni, all’enorme letteratura prodotta sull’argomento, oltre che ridondante, sarebbe perfino poco rispettoso per coloro che, oggi e ancora una volta, sono chiamati a risolvere il problema. Per tutti gli altri, noi spettatori, interessati o curiosi, è doverosa la consapevolezza di quale sia la regola necessaria da cui non possono prescindere coloro cui tocca, per sorte, scelta, capacità o destino di gestire il caso. Essa consiste nell’obbligo di lavorare senza mai deviare dai seguenti fattori. Innanzitutto, lo scopo.

Chiarire definitivamente, e senza retorica, qual è la missione di un vettore aereo nazionale è imprescindibile. Che sia il profitto, la qualità, le economie esterne, la geopolitica, eventualmente in quale dosaggio ognuno di questi, è necessario chiarirlo, magari avvertendo che, se fosse il primo di essi da solo, non meriterebbe l’enorme clamore della vicenda. In quel caso il mercato da solo basterebbe e gli altrui interventi soltanto di disturbo.

Poi, la competenza. Anch’essa imprescindibile e, invero, argomento preferito da molti. Chi ne parla, umanamente seppure magari inconsapevolmente, se ne attribuisce una dose maggiore in materia. Questo è l’equivoco che ha a lungo danneggiato Alitalia. La competenza è frutto di studio ed esperienza, ovvero due cose alla portata di chiunque abbia una media intelligenza. Proporre e attuare continui cambiamenti della squadra al comando delle operazioni è il peggior errore tra tutti, che impone ogni volta di ricominciare daccapo. Un modo di fare cui si ricorre con parsimonia e in via eccezionale, mai con la frequenza di un kleenex.

Ancora la prudenza. Sempre indispensabile quando si affronta il rischio, essa è obbligatoria nel caso Alitalia. L’attività di quest’azienda ha impatto su equilibri geopolitici, la sua rilevanza esonda dai meri confini nazionali. La sua forza motrice sulla filiera industriale è preponderante sui benefici diretti, il volume di capitale fisso che richiede è enorme. Pertanto, i portatori di interesse sono numerosi e non collocabili in una mera dimensione gerarchica. Certamente ciò è vero anche in altri settori, ma quest’osservazione nulla aggiungerebbe, nulla toglierebbe.

Inoltre, la finanza. L’assillo di chiunque voglia costruire qualcosa. Tanto più ossessivo se i mezzi richiesti esulano dalla capacità di un singolo imprenditore, di una singola banca, di una canonica iniziale quotazione di borsa. Il settore si è affermato soltanto a seguito di eventi epocali. La fine della II guerra mondiale che ha reso necessaria e utile la riconversione in uso civile e commerciale dell’enorme capacità produttiva e tecnologica imposta dal macroscopico evento bellico.

Ugualmente, negli anni ’60 e ‘70, la necessità e utilità di dare scopo affaristico all’altrettanto imponente sforzo tecnologico e produttivo imposto agli attori della guerra fredda e della gara spaziale. Pure la necessità e utilità di trovare impiego adeguatamente remunerativo per gli enormi capitali dei fondi pensione obbligati a generare idonee rendite nella svolta degli anni ’80 e ’90, che ha indotto alla deregolamentazione e proliferazione del settore del trasporto aereo. In questo terzo decennio del nuovo secolo, c’è l’evento epocale della pandemia per il quale Usa e Ue, ma non solo, stanno stanziando migliaia di miliardi a sostegno degli investimenti. Le opportunità finanziarie per il settore dell’aviazione sembrano nuovamente disponibili.

Quindi, il tempo. Più del danaro è risorsa pregiata. Se quest’ultimo è pur sempre recuperabile, non lo è il tempo. Una volta perso, lo è per sempre. Ma, senza scomodare Gianbattista Vico, la storia umana ha i suoi corsi e ricorsi. Accade all’uomo, talvolta, di ritrovarsi in circostanze in cui gli è consentito ripetere l’esperienza. Se per gli umani l’anagrafe è irreversibile e, perciò, inevitabilmente mina la ripetizione, ciò non è vero per le aziende. Nei ricorsi storici esse hanno l’opportunità di ripetere l’esperienza senza il fardello dell’età. Tuttavia, i ricorsi sono attimi nello scorrere del tempo, non vanno persi.

Perciò, la tempestività. Per cogliere l’attimo non se ne può fare a meno. Chi ha in mano il caso dovrà essere tempestivo più di ogni altra cosa e senza peccare di imprudenza. Non sarà facile, ma è inderogabile. Infine, la fantasia. Può suonare vacuo questo requisito nel confronto con la gravezza degli altri, eppure senza la capacità di immaginare il futuro, di pensare laterale, lo sforzo sarebbe destinato all’insuccesso. Non dovrà essere la migliore prassi del passato, perfino del presente, ad ispirare l’azione, per quanto sia doveroso conoscerla. Piuttosto costruire una nuova prassi è la strada. La scarsa fiducia degli italiani in sé stessi spesso acceca l’azione di rinnovamento inventivo. Eppure, la storia di questo paese si è distinta da sempre proprio per la capacità inventiva. Sarà importante superare questo disturbo della psiche collettiva nazionale, pena l’ennesimo fallimento.

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