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Mediterraneo

Come si combatterà la battaglia navale del futuro

Il dominio navale è attualmente esposto a grandi cambiamenti portati dall’introduzione (già avvenuta o imminente) di nuove tecnologie che offrono importanti opportunità alle marine militari, mettendole nel contempo di fronte a minacce inedite. L'approfondimento di Elio Calcagno e Alessandro Marrone per Affari Internazionali

Il dominio navale è attualmente esposto a grandi cambiamenti portati dall’introduzione (già avvenuta o imminente) di nuove tecnologie che offrono importanti opportunità alle marine militari, mettendole nel contempo di fronte a minacce inedite.

Marine diverse per mezzi e obiettivi stiano affrontando problematiche simili nell’acquisire e integrare (e difendersi da) sistemi di combattimento sempre più avanzati in una logica di sistema di sistemi. Questi includono, inter alia, sistemi unmanned, missili ipersonici, armi ad energia diretta, oltre a sistemi rodati ma in fase di evoluzione come elicotteri, missili convenzionali e siluri. Se ne è discusso il 14 dicembre nell’evento IAI “Il futuro dominio navale: capacità militari e innovazione tecnologica”, con doppio focus internazionale e sull’Italia.

LA SFIDA NAVALE DI CINA E RUSSIA

A livello globale, negli ultimi anni Pechino e Mosca hanno puntato fortemente sullo sviluppo di nuovi sistemi di combattimento nel dominio navale che possano rafforzare il potenziale di deterrenza delle rispettive marine – specialmente nel campo missilistico. Ad esempio la Cina ha sviluppato, partendo da sistemi preesistenti, due classi di missile balistico antinave (il DF-21D e il DF-26) che almeno sulla carta potrebbero mettere alla prova l’abilità della marina statunitense di operare i suoi carrier strike group (CSG) nelle acque adiacenti alle coste cinesi. Se l’efficacia in mare di questi sistemi, in origine progettati per colpire obiettivi statici, rimane dubbia, la marina cinese sta lavorando anche ad un nuovo modello di missile balistico antinave (il YJ-21) progettato sin dall’inizio con lo scopo di colpire task force navali americane.

La Russia sta invece sviluppando l’ormai noto 3M22 Zircon, un missile cruise ipersonico che, secondo la propaganda di Putin, raggiungerebbe una velocità di 9 Mach con una gittata di 1000 chilometri. A prescindere dall’effettiva efficacia di questi sistemi in contesti operativi, le principali marine occidentali sono obbligate ad investire nello sviluppo di contromisure adeguate a queste nuove potenziali minacce perché non possono correre il rischio di farsi trovare impreparate in mare.

LE OPPORTUNITÀ DEI DRONI E L’INTEGRAZIONE DEI SISTEMI

Ad eccezione degli Stati Uniti, le altre potenze navali della Nato sono rimaste indietro nello sviluppo di sistemi di combattimento basati su tecnologie dirompenti come i missili ipersonici e armi ad energia diretta a causa anche dei grandi costi di sviluppo ad essi legati. Inoltre, Francia, Germania e Regno Unito per motivi diversi non sembrano avere la possibilità (Londra e Parigi) o l’intenzione (Berlino) di investire significativi fondi aggiuntivi per incrementare sostanzialmente la flotta – al contrario della Cina che sta velocemente aumentando il tonnellaggio complessivo della sua marina, dopo aver già superato quella di Washington in termini di numero di scafi in servizio.

L’evoluzione dei droni offre dunque delle opportunità irrinunciabili alle marine della Nato. In primo luogo, la possibilità di operare veicoli a pilotaggio remoto o autonomi – aerei, di superficie e subacquei – dotati di sensori avanzati affinerebbe di molto la maritime situational awareness di una forza o singola nave senza dover mettere a repentaglio la sicurezza dei piloti. L’efficacia di droni come il Bayraktar TB2 nel conflitto in Ucraina dimostra inoltre come questi assetti se specializzati nella guerra navale, in determinate situazioni, potrebbero di fatto ‘allungare le braccia’ delle navi da guerra con costi più contenuti rispetto a sistemi convenzionali.

Se la tecnologia per quel che riguarda i sistemi a pilotaggio remoto è in molti casi già abbastanza matura per poter dare un contributo prezioso alle operazioni navali, come dimostrato anche dal progetto UE OCEAN2020, uno sforzo notevole è richiesto per raggiungere un livello di integrazione sufficiente fra questi ultimi e gli altri sistemi di combattimento (esistenti e futuri) a disposizione di una forza navale.

Come ripreso dalla Marina Militare italiana nel recente documento “Future Combat Naval System 2035 nelle operazioni multi-dominio”, questo tipo di integrazione è una condizione fondamentale per far sì che una moltitudine di sistemi diversi possano operare insieme in modo coordinato, contribuendo a donare a chi ne farà uso un vantaggio informativo rispetto ad un avversario. Vantaggio sempre più importante data la connessione crescente tra i vari domini operativi, e quindi la rinnovata necessità di un approccio interforze alle operazioni militari in chiave multi-dominio.

TECNOLOGIE E CAPACITÀ MILITARI NEL DOMINIO NAVALE

Come ampiamente dimostrato dai fallimenti delle forze russe in Ucraina, è fondamentale per una forza armata sappia sfruttare al meglio e aggiornare i mezzi a disposizione, dotandosi delle capacità necessarie per assicurare uno sforzo coordinato e sostenibile nel tempo, adeguato rispetto all’avversario e al teatro operativo.

Con l’emergere di nuove minacce come i missili ipersonici e i droni, le navi militari sono oggi potenzialmente più vulnerabili necessitando l’aggiornamento o lo sviluppo di adeguate contromisure. Gli assetti navali dovranno essere sempre più muniti di avanzati sensori e sistemi d’arma che ne rafforzino le capacità offensive e difensive, nonché di un combat management system (CMS) allo stato dell’arte capace di gestire tutti i sistemi di combattimento e i flussi di dati che questi producono. L’insieme dei sistemi installati sulle marine militari diventa quindi più numeroso, avanzato, complesso e costoso, occupando uno ‘spazio’ maggiore sulla nave in termini fisici, elettromagnetici e di costo complessivo della piattaforma.

Ciò da un lato automatizza diverse attività e riduce il numero di marinai necessari a bordo, rendendo così più sostenibile la rotazione degli equipaggi in operazioni navali più frequenti e prolungate. Dall’altro, è necessario un investimento sul personale chiamato ad operare tecnologie complesse e sull’adeguamento dottrinale, di tattiche, tecniche e procedure.

L’entrata in campo di tecnologie dirompenti a ritmi sempre più elevati richiede infine un approccio diverso rispetto all’aggiornamento di capacità esistenti e all’introduzione di nuove tecnologie, andando oltre i vecchi paradigmi dei programmi navali che prevedevano anche un solo grande aggiornamento dei principali sistemi imbarcati (i cosiddetti mid-life updatecome quello in corso per i cacciatorpediniere della classe Orizzonte).

In definitiva, l’innovazione tecnologica influenza fortemente l’evoluzione del dominio navale, e non solo, ma è la capacità di un sistema-Paese di farne tesoro a determinare la qualità della propria marina militare.

Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

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