Non c’è nessun dubbio, quella in atto da parte dei Marines americani è una delle più più importanti rivoluzioni affrontate nel corso della loro storia; prima di tutto dal punto di vista dottrinale e (di conseguenza) anche da quello della struttura, dei mezzi nonché dei sistemi d’arma a loro disposizione.
Una rivoluzione avviata e portata avanti (con molta determinazione) dall’attuale Comandante del Corpo dei Marines stessi e cioè il Generale David Berger. Questi è partito da una considerazione tanto semplice quanto fondamentale; di fatto, i decenni di cosiddetta Global War On Terror (GWOT) avevano snaturato le caratteristiche principali della più celebre forza da sbarco del mondo, trasformandola in un sorta di “secondo Esercito”. In questo modo, essa aveva gradualmente perso la propria “agilità” e la propria tipica capacità di adattamento al mutare degli scenari operativi.
Aggiungendo poi il fatto che, nelle nuove strategie di sicurezza nazionale, gli Stati Uniti hanno stabilito che la minaccia principale non è più il terrorismo quanto il ritorno della competizione tra grandi potenze e che la principale potenza (cioè minaccia) da tenere sotto controllo è proprio la Cina, ecco che il quadro si completa. Con il Pacifico che torna quindi (a quasi 80 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale) a essere il teatro operativo principale per i Marines; dunque, occorre ora adattarsi a esso e alle sue caratteristiche peculiari.
In una maniera del tutto nuova però; acquisendo cioè la capacità di muoversi rapidamente, con contingenti anche ridotti, in maniera molto dispersa e con l’abilità di contrastare minacce multiple. Tutto ciò è esattamente alla base di una delle più importanti nuove dottrine per l’appunto elaborate, quella delle Expeditionary Advanced Base Operations (EABO). Di fatto, si punta alla creazione di piccole basi operative avanzate, dalle quali poter colpire il nemico e fornire un eventuale supporto a contingenti più numerosi o ad altri assetti operativi. Basi che siano rapide da creare ma anche da abbandonare qualora il livello di minaccia fosse troppo elevata; pronte comunque a essere allestite altrove per confondere il nemico.
Ebbene, uno dei perni centrali di questo nuovo concetto sarà rappresentato da un altrettanto nuova piattaforma fortemente voluta dai Marines: la Light Amphibious Warship (LAW). Come ci dice la definizione stessa, si tratta di una nave anfibia “leggera”; almeno rispetto agli standard americani, dato che solitamente le piattaforme di questo tipo per la US Navy hanno un dislocamento che varia tra le 25.000 e le 45.000 tonnellate circa.
Con le LAW invece, il cambiamento sarà significativo. Perché per quanto ci si trovi ancora in una fase di definizione delle caratteristiche finali, molte idee appaiono già sufficientemente chiare. Lunghezza che potrà arrivare a circa 120 metri, dislocamento fino a 4.000 tonnellate, pescaggio ridotto e, soprattutto, capacità autonoma di sbarcare direttamente uomini e mezzi a terra. L’equipaggio dovrà essere contenuto (tra i 40 e i 59 uomini) e inoltre la LAW potrà trasportare fino a 75 Marines con i propri mezzi/equipaggiamenti; questi ultimi avranno poi a disposizione ampie aree di carico coperte.
La velocità di transito dovrà essere di 14/15 nodi (parametro peraltro discutibile per sua “modestia”…), l’autonomia di almeno 3.500 miglia e inoltre, al fine di contenere i costi, i sistemi di bordo principali (sensori, sistemi di comunicazione e d’arma) dovranno essere portati al minimo indispensabile. Anche se poi le unità in questione dovranno possedere comunque livelli adeguati di “sopravvivenza” in caso di danni a bordo.
Proprio quello dei costi sarà dunque un fattore cruciale perché gli attuali piani prevedono che in futuro saranno in servizio tra le 24 e le 35 LAW, con la prima di previsto acquisto intorno al 2023. Riuscire dunque a rimanere entro gli obbiettivi posti, e cioè circa 150 milioni di dollari per ogni nave, sarà fondamentale per assicurare un pieno successo a questo programma. Anche perché i fondi non sono certo infiniti e la US Navy, a fronte di altre esigenze, potrebbe anche non considerare così stringenti le esigenze legate alle LAW; a differenza dei Marines per i quali, invece, queste nuove navi sono fondamentali.
Nel frattempo, a oggi sono 5 i cantieri che stanno lavorando al progetto; tra questi anche Fincantieri che concorre attraverso la propria controllata americana. Una presenza ormai forte quella negli Stati Uniti, indice del possesso di capacità ed “expertise” tali da poterla considerare sicuramente come una delle più serie pretendenti all’aggiudicazione del contratto.