Sembra proprio che l’autunno, a Detroit, sarà parecchio caldo. E non per le follie del clima, ma perché le Big Three della capitale statunitense dell’auto, ovvero Ford, General Motors e Stellantis, potrebbero presto essere interessate da una ondata di scioperi come non se ne vedevano da parecchio.
LA CORSA CONTRO IL TEMPO DI FORD, GENERAL MOTORS E STELLANTIS
Perché? Per via delle istanze sindacali giunte in occasione del rinnovo dei contratti, sulle quali non si è ancora trovato un accordo coi costruttori. Che non sarebbe stato facile addivenire a un compromesso che potesse soddisfare entrambe le parti in causa lo si era intuito fin dallo scorso 12 luglio, quando i rappresentanti avevano iniziato la trattativa.
Non a caso il 31 agosto era stata depositata una denuncia per pratiche di lavoro sleali contro GM e Stellantis, accusate dalla UAW di voler rallentare le trattative mancando di presentare delle controproposte dopo aver rifiutato quelle dei lavoratori, nella consapevolezza – l’accusa del sindacato – che il contratto sarebbe scaduto di lì a breve.
E se ne è avuta ulteriore conferma ieri, col capo del sindacato delle industrie automobilistiche statunitensi che ha detto che un accordo con i leader di Ford, General Motors e Stellantis, è “molto lontano”. Parallelamente, lo sciopero sembra sempre più vicino. Deutsche Bank ha calcolato che ogni settimana di fermo produttivo potrebbe impattare per cifre comprese tra i 400 e i 500 milioni di dollari.
“Ci stiamo preparando a scioperare in queste aziende in un modo mai visto prima”, ha dichiarato Shawn Fain, presidente della United Auto Workers (UAW), in una conferenza trasmessa online, dando ormai per scontato che si arriverà a bloccare la produzione negli stabilimenti americani. Il tempo, del resto, è ormai arrivato agli sgoccioli e per scongiurare che le tute blu incrocino le braccia bisognerebbe trovare un accordo prima che i contratti collettivi scadano alla mezzanotte di giovedì.
FAIN, L’INCUBO DELLE BIG 3
Tutto ruota proprio attorno al carismatico e bellicoso Shawn Fain, che fin dalla sua elezione aveva promesso ai colleghi della catena di montaggio che avrebbe rivoluzionato il modo che il sindacato ha di approcciarsi alle trattative con le aziende. Detto, fatto.
Nei suoi discorsi è solito ripetere che le tre Case sono avide, avendo registrato, grazie al lavoro degli operai, profitti per 21 miliardi di dollari nel primo semestre del 2023 e, solo negli Stati Uniti, per 250 miliardi negli ultimi 10 anni. Una ricchezza che, a suo dire, andrebbe condivisa a tutti i livelli, visto che permetterebbe di migliorare le condizioni salariali dei lavoratori.
Il sindacalista non sembra intenzionato ad arretrare nonostante abbia presentato ai rappresentanti dei costruttori istanze giudicate “audaci” da molti altri suoi colleghi di lungo corso. Anche per questo sui media americani si gioca spesso sul suo cognome richiamando il sostantivo assonante “pain”, dolore: qualcuno al termine della trattativa ne proverà parecchio ma, al momento, non si riesce a capire se a uscirne malconci saranno gli operai o i datori di lavoro.
COSA CHIEDE L’UAW TRASCINATA DA FAIN
Quel che è certo, è che le richieste della UAW questa volta sono difficilmente recepibili dalle Big Three prevedendo, per esempio, l’aumento dei salari del 46% in quattro anni con un 20% di incremento sin dalla firma del rinnovo col ripristino di incrementi legati al costo della vita (e sul punto non sembra che Fain intenda arretrare, considerata l’inflazione che sta colpendo gli USA); la trasformazione di tutti i contratti a tempo determinato in indeterminato; un nuovo regime pensionistico con benefici predefiniti per tutti i lavoratori; la reintroduzione delle prestazioni mediche per i pensionati; garanzie sul diritto di sciopero per le chiusure di stabilimenti e l’istituzione di una settimana lavorativa di 32 ore.
Del resto, Ford, General Motors e Stellantis, sono impegnate nella transizione ecologica e hanno l’obiettivo di aumentare i margini di profitto visto che le vendite nel prossimo periodo sembrano destinate a diminuire ancora con l’arrivo sul mercato di nuovi attori (per lo più cinesi), quindi è facile che si respingano le istanze e si arrivi allo sciopero, il primo nella storia dell’auto americana capace di coinvolgere tutte e tre le aziende di Detroit paralizzando di fatto la capitale dell’auto made in USA.