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Stellantis 2L Logistics Calenda Landini

Stellantis prende in giro l’Italia e il governo Meloni

Cosa penso, e cosa non capisco, dei ricatti-farsa di Carlos Tavares al governo italiano. La lettera di Francis Walsingham.

Caro direttore,

ho l’impressione che Carlos Tavares ci stia prendendo per i fondelli: mi sbaglio?

Stamattina, dopo le parole del ministro delle Imprese, Adolfo Urso, sulla possibilità di un ingresso italiano nell’azionariato di Stellantis, non ho potuto fare a meno di leggere Repubblica: il proprietario del quotidiano e della casa automobilistica è lo stesso, cioè la holding Exor di John Elkann. Sulla vicenda Stellantis il giornale diretto da Maurizio Molinari sembra essersi fatto notare per un certo ossequio alla voce del padrone, o almeno questa è l’opinione dei malpensanti come Carlo Calenda: non certo la mia, ci mancherebbe.

Comunque, ti dicevo, non ho potuto fare a meno di leggere il resoconto di Repubblica sullo scontro verbale tra Tavares, amministratore delegato di Stellantis, e Urso, ministro delle Imprese. Il quotidiano definisce, forse a ragione, una “provocazione” quella di Urso sull’eventualità di un ingresso dello Stato italiano nell’azionariato di Stellantis, dove è già presente quello francese con il 6 per cento circa. Abbiamo i soldi per farlo? Ci sono gli spazi? Elly Schlein del Partito democratico, comunque, si dice favorevole a esplorare quest’opzione.

In apertura del pezzo, tutto sommato asciutto, Repubblica riporta le parole di Tavares a Bloomberg. A suo dire, Stellantis è il “capro espiatorio” utilizzato dal governo Meloni per “evitare di assumersi la responsabilità per il fatto che se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici si mettono a rischio gli impianti in Italia”. Sussidi in cambio di posti di lavoro, quindi: mi suona come un ricatto. Ma forse è solo un’altra provocazione. Oppure una farsa. Mi spiego.

Tavares dice che i due stabilimenti italiani maggiormente minacciati dalla transizione alla mobilità elettrica e dalla concorrenza cinese sono Mirafiori e Pomigliano d’Arco: il primo è il sito della Fiat 500e e delle Maserati Gran Turismo e Gran Cabrio, tutti modelli elettrici; il secondo è quello della Fiat Panda e dell’Alfa Romeo Tonale, dove non sono previste piattaforme elettriche.

Caro direttore, c’è una cosa che non capisco. Ma se gli stabilimenti di Stellantis – compresi ovviamente quelli italiani – producono automobili per il mercato mondiale, in che modo la loro produzione è dipendente (solo) dalla domanda italiana? Anche perché Stellantis possiede più marchi, mica solo Fiat. Eppure Tavares collega esplicitamente l’aumento dell’offerta con gli incentivi pubblici alla domanda troppo in ritardo secondo la Casa di Elkann.

Piuttosto che scervellarsi sulle dichiarazioni, forse è meglio prestare attenzione ai dati. Mi appoggio a un ottimo articolo del Corriere della Sera denso di numeri, che aiutano – loro sì – a capire di cosa stiamo parlando.

Il 2023 in Italia per Stellantis si è chiuso con 751.384 modelli assemblati tra vetture (521.104) e veicoli commerciali (230.280), un +9,6% rispetto al 2022, ma siamo ancora lontani dal milione di modelli che auspica il governo e che l’ultima volta furono raggiunti nel 2017 (alla guida c’era ancora Sergio Marchionne).

A scendere negli anni sono stati anche i dipendenti, spinti a lasciare o ad anticipare la pensione con incentivi o contratti di espansione in cambio dell’ingresso di giovani leve. Nel 2021, infatti, anno della fusione tra Fiat-Chrysler e Groupe Psa, in Italia si contavano 51.300 persone, diminuite oggi a 42.700. Basta il bilancio consolidato di Fca nel 2004 per rendersi conto del cambiamento: 160.549 risorse a livello globale, di cui 71.329 in Italia. A questi numeri vanno aggiunti — con le dovute attenzioni — quelli della componentistica: 166.800 addetti sparsi tra 2.167 imprese, che dipendono però solo al 64,5% dalla galassia Stellantis-Iveco, questo perché i fornitori lavorano per diversi carmaker.

La riconversione dell’impianto di Termoli, dai motori alle batterie, partirà nel 2026: i metalmeccanici coinvolti sono 2100. A Modena ci sono duecentoventi impiegati in cassa integrazione fino al 17 febbraio e soli dieci giorni di lavoro a marzo. Alla VM Motori di Cento, sempre parte del gruppo Stellantis, i dipendenti sono passati da mille a circa quattrocento nel giro di pochi anni: lo stabilimento dovrà riconvertirsi dai motori diesel, nei quali è specializzato, ai propulsori marini.

Aggiungo qualche altro dato preso dal Foglio:

In Spagna Stellantis ha sorpassato la Volkswagen, ha prodotto 880 mila auto in tre sole fabbriche: Madrid, Vigo e Saragozza. In Italia ne ha costruite 521 mila in dieci impianti: Mirafiori, Melfi, Pomigliano, Cassino e Modena i principali, più Rivalta, Cento, Pratola Serra, Termoli, Verrone. Sono sovradimensionati rispetto alla produzione effettiva. Non potranno resistere tutti. Ormai ci si chiede quale chiuderà per primo.

Non mi pare una situazione risolvibile con qualche sussidio – come se Stellantis non abbia mai beneficiato di sostegni pubblici, poi – ma magari sbaglio io.

Un caro saluto, stavolta un po’ amaro

Francis Walsingham

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