Gli Stati Uniti devono risolvere la vistosa contraddizione tra l’ambizione di mantenere il dominio dei mari e una cantieristica autoctona allo sfascio. Ma come emerge da un report di Bloomberg, Washington non sta con le mani in mano e guarda agli alleati dell’Indo-Pacifico come fonte di partnership industriali che possano colmare il gap tra la marina Usa e quella cinese che già oggi è la più grande del mondo.
Gli amici coreani
I segnali dell’interesse americano a collaborare più strettamente con gli alleati si stanno moltiplicando, e uno particolarmente vistoso riguarda la Corea del Sud.
Il colosso della cantieristica sudcoreana Hanwha Ocean sta rimettendo in piedi un vecchio cantiere navale della marina Usa a Philadelphia e si è inoltre appena assicurato il primo contratto per il suo Paese per ristrutturare una nave militare americana.
La strategia per la cantieristica
La mossa rivela la strategia di cercare di attirare investimenti da parte della stessa Corea del Sud e del Giappone, ossia di alleati affidabili che dispongono di campioni globali della cantieristica che possono produrre navi sia militari che commerciali in tempi più ristretti e in modo più efficiente.
Il sigillo a questa strategia l’ha messo ad aprile il Segretario della Marina Carlos Del Toro recandosi in visita in Giappone e in Corea del Sud, dove ha fatto tappa ai cantieri di Yokohama di Mitsubishi Heavy Industries e a quelli di Hanwha e Hyundai Heavy Industries.
Segnali concreti
Agli incoraggiamenti ricevuti dal Segretario di investire in America sono seguiti subito i primi accordi. La prima a rispondere è stata Hanwha che a giugno ha staccato un assegno da 100 milioni di dollari per acquisire un cantiere negli States e il mese successivo si è assicurata un contratto dalla marina Usa per la manutenzione e la riparazione delle proprie navi.
In quello stesso momento un secondo contratto veniva firmato dalla marina con la rivale Hyundai, cui sono state anche prospettate ampie possibilità per future collaborazioni.
L’ostacolo
Paradossalmente però potrebbe essere la stessa politica a mettersi di traverso davanti a queste operazioni.
Il non improbabile blocco da parte della Casa Bianca dell’acquisizione di United States Steel da parte di Nippon Steel ha sollevato nel delicato campo dell’acciaio le stesse considerazioni di sicurezza nazionale che vengono ora richiamate per la cantieristica e le navi.
Parlando con Bloomberg, un esperto come Colin Grabow del Cato Institute si è detto però convinto che le recenti operazioni di Hanwa non verranno ostacolate per almeno due motivi: perché la Corea del Sud è un solido alleato, e perché ci sono già compagnie straniere come Fincantieri e l’australiana Austal che costruiscono navi per la marina Usa.
La cantieristica americana tra l’altro, ricorda Bloomberg, è gravata da una normativa vecchia di cent’anni chiamata Jones Act che protegge la manodopera locale impiegata nelle costruzioni delle navi.
Si tratta di un vasto e stringete insieme di norme che è da tempo oggetto del dibattito tra chi ritiene essenziale proteggere la forza lavoro locale e chi ricorda i danni autoinferti a un settore nevralgico soffocando la competizione.
Gli Usa vanno avanti
Ma la sfida posta dalla Cina è tale che anche gli ultimi scrupoli potrebbero presto cadere dando vita a un impulso volto a recuperare il gap nel settore della cantieristica.
Le strade da seguire sono due. Aggredire lo stesso primato cinese nella cantieristica come è stato fatto con un’inchiesta aperta ad aprile contro le pratiche scorrette di mercato che avvantaggiano illegittimamente le aziende del Dragone. Già si parla a tal proposito di dazi per le navi cinesi che approdano nei porti americani.
L’altra strada da intraprendere è quella già discussa delle alleanze sul piano industriale, un campo su cui Washington ha già lanciato un segnale lo scorso luglio siglando un accordo con Canada e Finlandia per produrre congiuntamente navi rompighiaccio da impiegare in quel teatro dell’Artico che è oggetto di una serrata disfida geopolitica tra Usa, Russia e Cina.
Un convinto sostenitore di questa linea è l’ambasciatore Usa in Giappone Rahm Emanuel che ad agosto ha vergato di suo pugno un editoriale pubblicato sul Washington Post per lodare la collaborazione nippo-americana nella cantieristica ritenuta fondamentale per ridare linfa a una flotta Usa atrofizzata.
Un ulteriore sviluppo in questa direzione è stato riportato pochi giorni fa da Nikkei: il Pentagono pianifica di costruire in Australia, a Singapore, nelle Filippine e in due Paesi dell’Asia orientale delle aree attrezzate per riparare le proprie navi.