La presenza di infrastrutture moderne e funzionanti e la posizione geografica favorevole, nel cuore dell’Europa, finora avevano spinto la maggior parte delle multinazionali statunitensi o asiatiche in cerca di una casa europea ad aprire le proprie filiali principali in Germania. Non Byd, ovvero il solo produttore di auto elettriche capace di competere alla pari con l’americana Tesla di Elon Musk: il marchio cinese, deciso ad aumentare i proprio presidio nel Vecchio continente per ciò che concerne il mercato delle vetture ibride e alla spina, ha infatti scelto Budapest, capitale dell’Ungheria, come head quarter.
BYD SCOMMETTE TUTTO SULL’UNGHERIA
Una decisione che vedrà Byd allontanarsi da Amsterdam, città individuata in un primo tempo, per investire in Ungheria altri 250 milioni di euro e assumere non meno di 2mila persone. Occorre sottolineare che tale mossa non sorprende affatto e appaia anzi piuttosto scontata considerato che il governo di Victor Orbán è ormai rimasto il solo in Europa a sponsorizzare la realizzazione della nuova Via della Seta commerciale. Non è del resto un caso che sia già stato scelto da altri colossi delle batterie per la mobilità elettrica come Catl, Eve Energy e Sunwoda.

Inoltre – e probabilmente per i medesimi motivi -, il costruttore cinese ha già nel Paese magiaro i propri hub principali destinati al rifornimento dell’Europa: a Komárom vengono prodotti da diversi anni autobus elettrici, a Fót dietro un investimento di 27 milioni si sfornano batterie per la nuova mobilità e a Páty componenti elettronici.
Tutto ciò mentre i cinesi lavorano notte e giorno per completare i lavori al confine con Serbia e Romania dello stabilimento di Szeged, dove verranno sfornate vetture ibride o full electric a marchio Byd. L’impianto della terza città dell’Ungheria per numero di abitanti punta ad avere a regime una capacità massima di 250mila auto all’anno e a impiegare fino a 10mila lavoratori, di cui un quinto ingegneri.
LE PRESUNTE INDAGINI EUROPEE
Insomma, i rapporti tra Pechino e Budapest non sembrano essere stati scalfiti dalle recenti indiscrezioni del Financial Times di un’indagine di Bruxelles circa l’esistenza di sussidi illeciti che il marchio potrebbe aver ricevuto dal partito comunista cinese per aprire il suo primo impianto del Vecchio continente, proprio in Ungheria.
Anzi, simili voci di corridoio sembrano aver sortito come unico effetto quello di rinsaldare ulteriormente l’alleanza commerciale già in essere tra Budapest e Pechino. Tant’è che l’ultimo annuncio è stato dato da Wang Chuanfu, fondatore, presidente e ceo del colosso cinese, mentre veniva accolto a Budapest con tutti gli onori dal premier ungherese Orbán.
I DAZI EUROPEI HANNO SPINTO BYD IN UNGHERIA?
La medesima considerazione può essere fatta sui dazi europei ai danni delle auto elettriche cinesi. Byd infatti ha attualmente bisogno di aggirare la tariffa doganale che grava sulle sue auto made in China pari al 27,4%. Una grana non di poco conto per il colosso asiatico che dal 2022 ha messo nel mirino il mercato europeo finora presidiato con 250 punti vendita in 19 Paesi del Vecchio continente.
Se Bruxelles con tale mossa sperava di veder fiorire in tutto il Vecchio continente nuovi hub cinesi, sembra invece avere accelerato solo la costruzione di una fabbrica in Turchia e una in Ungheria, entrambi Stati considerati “amici” di Pechino.
ENNESIMA FRATTURA IN EUROPA
L’aggravio del balzello, voluto a ottobre dalla Ue per difendere le proprie aziende dalla concorrenza cinese ritenuta sleale (per via degli aiuti di Stato ricevuti in patria dai marchi autoctoni), del resto, può essere aggirato sia producendo localmente all’interno dell’Unione sia in Paesi che hanno stipulato con Bruxelles accordi commerciali privilegiati.
Secondo alcuni osservatori, Pechino starebbe privilegiando per gli investimenti a tema automotive i Paesi membri che si sono opposti ai dazi voluti dalla Commissione europea (e il recente stop della produzione di vetture a marchio Leapmotor negli impianti polacchi di Stellantis lo confermerebbe, visto che la Polonia si era schierata a favore dei balzelli): una mossa che rischia di sfaldare sempre più la già logora tenuta europea che al momento difetta ancora di una precisa strategia industriale.