Tariffe, verifiche, segretezza delle convenzioni, controlli incerti, bluff dell’authority, lavori in house. Sono alcuni degli aspetti controversi delle concessioni autostradali che in questi giorni sono riemersi dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova e le critiche del governo ad Autostrade per l’Italia (Aspi), la società del gruppo Atlantia controllato dalla famiglia Benetton.
Ecco capitolo per capitolo i dettagli e i commenti su contraddizioni e anomalie delle concessioni.
IL REGIME GIURIDICO DELLE CONCESSIONI
Il crollo del Ponte Morandi a Genova riporta d’attualità le storture della regolazione delle concessioni autostradali in Italia. Storture ben note agli addetti ai lavori anche se ben pochi esperti le evidenziavano in pubblico. Ha scritto ieri Il Sole 24 Ore: “La delega della realizzazione di infrastrutture ai privati che lo Stato ha dato con le concessioni si è trasformata negli ultimi 10 anni in un incestuoso rapporto tra il pubblico e il privato”.
Il libro “Il regime giuridico delle Autostrade” di Lorenzo Saltari e Alessandro Tonetti ricorda come l’Antitrust definì la revisione della convenzione di Autostrade approvata con legge nel 2008: «Viene meno la possibilità di verificare l’andamento della produttività del gestore, di rivedere le tariffe e di redistribuire agli utenti una parte degli eventuali benefici derivanti dai recuperi di produttività che sono pertanto destinati a tramutarsi in rendite monopolistiche» è il giudizio. In quello stesso periodo, tornato Silvio Berlusconi al governo, Atlantia entrò nel salvataggio Alitalia con circa 200 milioni, ha ricordato il Sole.
IL DOSSIER TARIFFE
Uno degli aspetti più problematici, forse perché più popolare, ovvero impopolare, è legato al sistema delle tariffe autostradali. Un “favore elargito ad Autostrade”, secondo il professor Ugo Arrigo, economista esperto di regolazione del settore trasporti. “Il favore è stato – ha spiegato Arrigo in una conversazione con Start Magazine – il mantenimento del principio che si possa caricare in tariffa già oggi un investimento che si farà (forse) in futuro. Esso ha senso solo per gestori pubblici non per gestori privati. Andava bene per un sindaco che doveva rifare un acquedotto e che anziché aumentare le tasse ai cittadini aumentava la tariffa dell’acqua potabile, così poteva mettere da parte i soldi per l’investimento. Ma la stessa cosa non ha alcun senso per un gestore privato il quale, una volta incamerata la maggiorazione tariffaria per investimenti futuri inizia a distribuirla sotto forma di dividendi agli azionisti e bonus ai manager”. Però non c’è unanimità di giudizio. Un tecnico che in passato al lavorato per conto del governo su queste materie – ma che non vuole comparire – dice: “In tariffa, da diversi anni, vanno solo gli investimenti effettivamente realizzati e “asseverati” dal ministero delle Infrastrutture”.
Un’inchiesta del Fatto Quotidiano, però, ha messo in evidenza come il traffico è diminuito ma i pedaggi sono lievitati: “Dal 2008 a oggi i ricavi da pedaggio realizzati da Autostrade per l’Italia sono stati più di 34 miliardi. Nel 2008, il traffico è stato di 55,5 miliardi di chilometri e i proventi da pedaggio sono stati in totale 2,9 miliardi di euro. Nel 2017, i chilometri percorsi si sono fermati a 50,9 miliardi di euro e i ricavi sono invece saliti a 3,6 miliardi di euro”, si legge nell’ultima relazione finanziaria.
I MISTERI DELLA SEGRETEZZA
Tutte le concessioni autostradali sono da sempre secretate e non è possibile sapere all’opinione pubblica cosa prevedono. L’ex ministro Graziano Delrio (Pd) ha deciso all’inizio di quest’anno di renderle pubbliche sul sito del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: “Peccato manchino gli allegati di maggiore interesse, in particolare i piani finanziari che giustificano le tariffe e loro variazioni”, ha osservato Arrigo. Secondo l’economista, “solo dai piani finanziari è possibile comprendere se le tariffe e la loro crescita nel tempo sono giustificate o meno e se i concessionari rispettano le promesse di investimento che le tariffe permettono comunque di recuperare”.
Non c’è alcuna legge che imponga la segretezza, si tratta solo di una prassi che risale ai tempi in cui gli accordi con i gestori li firmava l’Anas per conto dello Stato. Ha scritto Maurizio Caprino del Sole 24 Ore: “Le clausole non certo penalizzanti per i concessionari forse spiegano perché si è lasciato che non ci fosse un obbligo di pubblicazione. Ma questa è un’altra storia”.
LA QUESTIONE DELLE VERIFICHE
Ma quali obblighi di vigilanza aveva Autostrade per l’Italia? E chi esegue le verifiche? A queste domande dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova, l’inchiesta di due giornalisti della Stampa e del Secolo XIX ha risposto così: “Poiché il viadotto è stato realizzato nel 1967, il gestore non deve fornire un piano di manutenzione (il diktat vige per chi ha in carico le strutture nate dal ‘99 in poi). Non solo. Autostrade esegue per legge due tipi d’ispezione, certificate una volta compiute: trimestrale con personale proprio (controlli sostanzialmente visivi) e biennale con strumenti più approfonditi. In quest’ultimo frangente, al massimo, la ricognizione viene affidata a ingegneri esterni, ma alla fine sempre pagati da Autostrade. Né gli enti locali, né il ministero delle Infrastrutture intervengono con loro specialisti. E di fatto non esistono certificazioni di sicurezza recenti che non siano state redatte da tecnici retribuiti da Autostrade per l’Italia”.
LA GENESI DELLA NORMATIVA
Ma perché sono queste le regole? Quando e perché sono state stabilite? Arrigo ha ricostruito la genesi della normativa: “Quando Autostrade era Iri si controllava da sola in quanto pubblica. Non avrebbe avuto senso che un soggetto pubblico con la mano sinistra (ossia Anas) controllasse un soggetto pubblico con la mano destra”, ha twittato ieri: “Con la privatizzazione il controllo pubblico è invece divenuto indispensabile ma non è stato attivato in quanto immagino abbiano ‘copiato’ la concessione precedente che non lo prevedeva. Non so se questo sia avvenuto per miopia burocratica o volutamente per favorire l’acquirente”. Sul tema c’è stato uno scontro a colpi di comunicati fra ministero retto da Danilo Toninelli (M5S) e concessionaria.
IL BLUFF DELL’AUTORITA’ DEI TRASPORTI
L’autorità di regolazione dei trasporti (Art) è stata istituita (con 17 anni di ritardo) da un decreto legge del 2011, il collegio è stato nominato nel 2012 e l’authority è pienamente operativa dal 2013, ossia 19 anni dopo la legge del 1994. Ma c’è una sorpresa, di certo apprezzata molto dalla società Autostrade per l’Italia: “L’Art ha competenza su tutte le tipologie di trasporto, comprese le autostrade, ma solo per le ‘nuove concessioni’. Non dunque su quelle in essere e tra esse neppure su quella più importante per la quale vi era un obbligo di istituzione ante privatizzazione”, ha commentato Arrigo.
LA PROPOSTA SULL’AUTHORITY
Una proposta sul tema è arrivata da Alberto Biancardi, commissario uscente dell’Arera (Autorità energia) e ai tempi coordinatore del Nars, il comitato consultivo sulle tariffe regolate: “Un’Autorità indipendente può modificare la regolazione, garantendo trasparenza e stabilità normativa, rivedere periodicamente qualità e metodi di monitoraggio, che possono essere affidati a soggetti indipendenti, può riequilibrare le tariffe. Si potrebbe mettere fine alle proroghe delle concessioni per finanziare nuovi lavori (la concessione di Aspi è stata prolungata di 4 anni per finanziare la Gronda di Genova, ndr). L’Autorità calcolerebbe il valore economico del subentro che sarebbe a carico del nuovo concessionario”.
LA PROROGA DELLE CONCESSIONI
Alla fine del 2014, l’allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Maurizio Lupi (Ncd), del governo Renzi inserisce un emendamento all’articolo 5 dello Sblocca Italia – poi approvato – che consente alle società autostradali di prorogare le concessioni fino al 2038 anche se erano in scadenza. Se ne avvantaggiano sia le società del gruppo Atlantia-Benetton sia le concessionarie controllate dal gruppo Gavio.
Sulla proroga non concordò l’Autorità anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone. Con una lettera del 28 gennaio 2015 – come ha ricostruito oggi il quotidiano la Repubblica in un articolo di Paolo Griseri – l’authority criticava l’articolo 5 del decreto Sblocca Italia in due punti: “Il primo era la possibilità per ogni società di accorpare più concessioni su diverse tratte facendo valere quelle a scadenza più lontana nel tempo, in violazione dei principi di concorrenza”. Il secondo aspetto biasimato era il “sovrapporsi degli impegni di investimento assunti dalle società al momento della prima concessione con quelli assunti con la proroga. Chi sarebbe stato in grado di capire se nella sovrapposizione le società avrebbero rispettato gli accordi?”.
IL SI’ DI BRUXELLES ELOGIATO DAI TECNICI DEL MIT
Un più recente scambio tariffe calmierate-proroga concessioni messo a punto dal ministro Delrio ha avuto il via libera di Bruxelles. A fine aprile tre tecnici della struttura di missione del dicastero (il giurista Maurizio Maresca e gli economisti Angela Bergantino e Andrea Boitani) hanno così commentato il via libera dell’esecutivo Ue su un programma anche da loro curato: “La decisione della Commissione europea sul piano di rilancio delle autostrade italiane costituisce una bella pagina verso una più trasparente regolazione del mercato delle infrastrutture con il duplice obiettivo di favorire il servizio pubblico e la crescita”.
“Per promuovere la costruzione delle infrastrutture essenziali senza, tuttavia, incrementare le tariffe secondo quanto prevedono i contratti in corso – hanno scritto i tre tecnici del ministero delle Infrastrutture – Commissione europea e Governo italiano hanno concordato una road map per attuare un piano di rilancio che prevede la realizzazione di alcune importanti opere a fronte di un rallentamento tariffario (inflazione maggiorata dello 0,5%). I mancati aumenti dei pedaggi sono finanziati con un allungamento delle concessioni sia di Autostrade per l’Italia sia di SATAP (per la sola Torino – Milano). Tale aumento, tuttavia, è limitato a 4 anni”.
Bene ma su decisione EU bisogna chiarire: 1) la procedura era stata aperta da anni e prevedeva proroga molto + lunga; 2) la proroga minima è servita a non far alzare le tariffe + dello 0,5% e a ridurre il costo del subentro; 3) la % di affidamenti a terzi è stata fissata all'80%.
— Angela S. Bergantino (@asb197) August 19, 2018
IL DOSSIER LAVORI IN HOUSE
Fa discutere in questi giorni anche il capitolo relativo ai lavori di manutenzione fatti in house dalla concessionaria.
Nel biennio 2007-2008, quello in cui era prescritto che il 100% dei lavori fosse oggetto di bando pubblico, l’importo dei lavori posti in gara è stato di circa 1,4 miliardi di euro; tale importo si è più che dimezzato (-57%) nel periodo 2009-2010, cioè dopo che la percentuale dell’in house venne riportata al 60%, ed è ulteriormente crollato nel 2013-2014 (-91,5%).
Ha analizzato la questione Vitalba Azzollini: “Nel 2006, una norma del previgente codice degli appalti prevedeva la possibilità di affidare in house fino al 60% dei lavori inerenti alle concessioni, con obbligo di bando pubblico solo per il 40%: in relazione a tale norma, la Commissione europea aprì una procedura di infrazione contro l’Italia per violazione di principi comunitari. La norma venne pertanto modificata (Dl 262/2006, governo Prodi), obbligando i concessionari ad appaltare a terzi i lavori nella misura del 100%. La procedura di infrazione fu così archiviata”.
Sembrava, quindi, tutto a posto, ma “due anni dopo (Dl 207/2008, governo Berlusconi) si tornò indietro esattamente alla situazione di partenza, quella che aveva originato la procedura di infrazione: alle concessionarie autostradali venne, quindi, nuovamente consentito di affidare in house fino al 60% del totale dei lavori, servizi e forniture dal 1° gennaio 2009”. “Tale percentuale- ha chiosato l’esperta sul blog Phastidio.net – venne ridotta al 50% (d.l. 1/2012, governo Monti), poi 40% dal 1° gennaio 2014 (d.l 83/2012, ancora governo Monti) e, successivamente, col nuovo codice degli appalti (d.lgs. 50/2016, governo Renzi) scese al 20%, come detto. Ma con un emendamento Pd da cui ho preso le mosse si fa l’ennesima retromarcia, aumentando un’altra volta la percentuale di lavori da assegnare in house al 40%”.
LA STORIA DELL’EMENDAMENTO PD
Come nacque quell’emendamento del Pd? Lo ha spiegato ieri al quotidiano Repubblica Stefano Esposito, Pd, all’epoca relatore del codice appalti al Senato: “C’era un clima molto pesante. Una sera sulla terrazza dell’Hotel Cesari, nel cuore di Roma, incontrai Giovanni Castellucci. L’ad di Autostrade fu molto sgradevole e arrogante. Ma non fu l’unico. I sindacati credettero alla minaccia dei concessionari e organizzarono manifestazioni di piazza con cartelli che si scagliavano contro la mia persona. Alla fine, dopo mesi di battaglie, anche dentro il Pd ci fu chi preferì cedere e tornammo alla ripartizione degli appalti 60/40”. Come gradito ad Autostrade per l’Italia.