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Auto, chi vince e chi perde con le nuove regole Ue

Che cosa cambierà con le nuove regole europee per il settore auto. Conversazione di Stefano Feltri con Francesco Zirpoli, docente di Economia e Gestione dell’innovazione presso il dipartimento di Management dell’Università Ca' Foscari Venezia e direttore scientifico del Center for Automotive and Mobility Innovation.

Per i costruttori sta diventando difficile adeguarsi a regole che cambiano spesso: chi è avvantaggiato e chi penalizzato da questa proposta di revisione del blocco delle vendite dei motori endotermici?

Le nuove norme lasciano spazio al motore endotermico, ma producono una maggiore incertezza per le imprese che stanno investendo o hanno investito nella transizione verso i veicoli a zero emissioni. A essere colpiti sono quindi sicuramente gli attori dell’industria che hanno investito e dovranno investire nella filiera dell’elettrico: dalla produzione di batterie alle infrastrutture di ricarica, fino ai fornitori che hanno scommesso sulla nuova tecnologia sviluppando componentistica per le nuove motorizzazioni. Per questi ultimi viene meno un ulteriore elemento di certezza.

Se prima dovevano fare i conti con una domanda di auto stagnante in Europa, oggi si trovano a dover fronteggiare anche una maggiore incertezza rispetto all’effettiva dimensione della quota di mercato delle auto elettriche. Da un lato l’offerta di auto elettriche calerà, anche se non è chiaro di quanto; dall’altro spetta ora alle case automobilistiche interpretare le nuove regole.

Sicuramente i produttori che avevano puntato sull’elettrico, investendo di più in innovazione di prodotto e di processo, risultano svantaggiati da queste regole. Ma, più in generale, è la filiera che soffrirà maggiormente.

In sintesi, si può dire che le nuove regole non risolvono la questione industriale europea, che affonda le sue radici in oltre quindici anni di investimenti rallentati da parte delle principali case automobilistiche del continente. Certo, queste regole concedono più tempo ai ritardatari, ma rischiano paradossalmente di indebolire proprio gli attori della filiera e dell’industria che hanno investito in innovazione.

Ha fatto discutere l’arrivo sul mercato italiano di auto cinesi a batteria con prezzi molto bassi rispetto anche ai modelli a benzina: la T03 di Leapmotor viene pubblicizzata a 4.900 euro. I consumatori sceglieranno presto le auto elettriche perché più economiche e non perché a basse emissioni?

Questo è il punto chiave. In un’escalation di conflitto e di dibattito pubblico polarizzato, ci si è dimenticati che la tecnologia evolve rapidamente. Le proiezioni tecnologiche indicano che entro cinque-dieci anni, ma forse anche prima, sarà possibile per i consumatori acquistare veicoli a zero emissioni a condizioni paritarie, se non addirittura più vantaggiose, rispetto alle alternative a combustione interna in tutti i segmenti di mercato.

Molti esperti ritengono, ad esempio, che le auto elettriche costeranno meno delle auto ibride e dei range extender, cioè proprio quelle che, con le nuove regole, sopravviveranno anche dopo il 2035.

Questo risultato sarà reso possibile dalla rapida riduzione dei costi delle batterie, dal loro progressivo aumento di durata e autonomia e dallo sviluppo di infrastrutture di ricarica sempre più diffuse ed efficienti.

In pochi anni i tempi di ricarica si ridurranno drasticamente, eliminando uno dei principali freni all’acquisto. Di conseguenza, l’obiettivo di riduzione delle emissioni non solo non penalizzerà i consumatori, ma al contrario li avvantaggerà in termini di salute e di qualità ambientale.

Nei mesi scorsi ci sono state molte tensioni tra il gruppo Stellantis e il governo Meloni sulla difesa dei posti di lavoro e della produzione in Italia. È cambiato qualcosa?

Sul fronte occupazionale, paesi come Italia e Francia hanno visto crollare produzione e posti di lavoro negli ultimi vent’anni, ben prima delle regole introdotte dall’Europa nel 2023. In Italia, nel 2025 si produrranno meno di 250.000 auto: lo stesso numero del 1957.

I marchi europei come Stellantis, che presidiano i segmenti più economici, producono queste vetture in Nord Africa, in Turchia, nell’Est Europa e in Asia. Dal 2021 a oggi, da quando si è formata, Stellantis ha ridotto in Italia l’organico da 55.000 persone a meno di 40.000.

Purtroppo non ci sono elementi nelle nuove norme che inducano a pensare che questa tendenza cambierà.

Le regole europee sono state utilizzate come alibi per scelte industriali che hanno penalizzato il nostro paese.

Il governo, sostenuto da Confindustria, invece di individuare soluzioni per affrontare i reali nodi che frenano la ripartenza dell’industria automobilistica italiana e della sua filiera, ha preferito assecondare la narrazione che attribuisce alle regole europee la responsabilità del possibile declino del settore.

Questa strategia, a mio avviso, può funzionare sul piano elettorale, soprattutto tra chi ha paura — una paura irrazionale — del cambiamento, ma non risolverà i problemi dell’industria, dei lavoratori e nemmeno dei consumatori.

La speranza è che, una volta rimosso l’alibi della rigidità delle regole europee, si inizi finalmente a lavorare per il paese. Resta il fatto che è stato perso tempo prezioso: tre anni di scarsi investimenti, in uno scenario competitivo sempre più dinamico e complesso, rischiano di pesare a lungo.

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