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Turchia Difesa

Tutte le ambizioni militari della Turchia

La Turchia pensa in grande per la sua flotta e non solo. L'approfondimento di Giovanni Martinelli

Nei giorni scorsi sono circolate un paio di notizie provenienti dalla Turchia apparentemente scollegate fra di loro ma che, in realtà, lette con attenzione presentano proprio un importante collegamento.

La prima delle due risale a metà febbraio, quando il presidente turco Erdogan (nella foto) si reca in visita all’ufficio di progettazione navale della Marina turca. Motivo della visita stessa, verificare i progressi nella progettazione della futura portaerei delle Marina di Ankara (e di altri progetti) che appena un mese prima circa, aveva visto il via libero definitivo al suo sviluppo da parte del “Turkish Defense Industry Executive Committee”, cioè il massimo organo decisionale Turco in materia di “procurement” militare.

E fin qui, si dirà, nulla di particolarmente sensazionale; se non fosse però che in una delle “photo opportunity” di rito per celebrare l’evento, ecco apparire invece una immagine che fornisce (a sorpresa) sia i primi render della piattaforma in oggetto, sia le prime caratteristiche essenziali della stessa. Sorpresa perché, mentre fino a quel momento si era parlato del progetto di una “portaerei leggera” (quindi, con dimensioni/caratteristiche adeguate alla definizione in oggetto), ciò che emerge ora è un qualcosa di ben diverso.

Tradotto in numeri, una unità di 258 metri di lunghezza, 68 di larghezza massima (considerando anche il ponte di volo) e un pescaggio di 10 metri; il tutto, per un dislocamento di (ben) 60.000 tonnellate. Dunque, davvero poco a che fare con il sopra ricordato concetto di portaerei leggera. E questo, anche per un altro motivo. Vale a dire, la configurazione adottata; nota da un punto di vista tecnico con l’acronimo STOBAR (Short Take-Off Barrier-Arrested Recovery), essa si basa sul principio che un velivolo a decollo e atterraggio convenzionale possa per l’appunto decollare in maniera normale ma aiutato dalla presenza dello “ski-jump” (una sorta di trampolino rappresentato da una rampa inclinata), per poi atterrare sulla portaerei stessa grazie all’ausilio di cavi di arresto.

Di fatto, una formula di compromesso tra le vere portaerei leggere, che invece generalmente fanno affidamento sulla disponibilità di velivoli STOVL (Short Take-Off, Vertical Landing) capaci di operare in autonomia anche senza sistemi esterni, e quelle cosiddette CATOBAR (“Catapult Assisted Take-Off, Barrier-Arrested Recovery) che invece fanno uso di particolari catapulte per aiutare i velivoli in fase di decollo. Considerata la configurazione ottimale, quest’ultima però è anche la più costosa e complessa; ecco perché, alcuni Paesi non ancora dotati di tecnologie e risorse finanziarie adeguate hanno fatto/fanno ricorso a quella STOBAR.

IL SOGNO DI UNA PORTAEREI PER LA MARINA TURCA

Se dunque questo progetto si concretizzerà (elemento peraltro non scontato), alla fine anche Ankara coronerà il proprio sogno; entrare nel club esclusivo dei Paesi che, per l’appunto, dispongono di una unità navale adatta a far operare velivoli pilotati ad ala fissa. Un club esclusivo perché a oggi esso conta solo 7 Paesi; 8 a breve.

Un obiettivo quello turco che, peraltro, non nasce certo oggi. La Marina di quel Paese ha infatti già oggi come propria ammiraglia l’unità anfibia Anandolu, realizzata localmente presso i cantieri Sedef ma su progetto Spagnolo (quello della analoga piattaforma Juan Carlos I) e con assistenza del gruppo Navantia. Ebbene, per quanto mai chiaramente esplicitato, a tutti gli osservatori era apparso sempre evidente che per via delle sua caratteristiche, la Anadolu aveva e ha tutte le carte in regola per diventare proprio la prima portaerei Turca. Considerazione rafforzata dal fatto che Ankara partecipava al programma del cacciabombardiere F-35 che, infatti, viene prodotto anche in una versione STOVL, adatta da operare su tale piattaforma.

Come sono andate però le cose è noto. A causa della decisione della Turchia di acquistare dalla Russia il sistema missilistico di difesa aerea S-400, gli Stati Uniti hanno deciso di estrometterla dallo stesso programma F-35, vanificando ogni possibile progetto di far evolvere ulteriormente il progetto della Anadaolu.

IL PRIMO VOLO DEL KAAN

Ed è in questo quadro che inserisce la seconda delle due notizie, e cioè il primo volo del nuovo cacciabombardiere di progettazione e produzione (quasi esclusivamente) nazionale Kaan. Un evento per certi versi storico perché, anche in questo caso, esso segnala non solo i progressi dell’industria della difesa Turca ma, anche, il fatto che l’arrivo di questo velivolo segni l’ingresso nel novero di quei Paesi (e sono pochi) che nel mondo sono in grado di raggiungere un tale risultato.

Ma qual è allora la relazione fra le 2 notizie? Semplice, da quella singola immagine della futura portaerei della Marina di Ankara, sul suo ponte di volo si intravedono infatti le sagome di alcuni velivoli su di esso parcheggiati; e quelle sagome richiamo chiaramente proprio al Kaan.

Ecco dunque l’elemento di saldatura che chiude il cerchio; la prima “vera” portaerei turca potrebbe essere equipaggiata proprio con un velivolo di produzione locale. In questo senso, va precisato che a oggi non si è ancora mai parlato di una versione navale del Kaan; passaggio questo necessario, perché un cacciabombardiere convenzionale non può operare a bordo di simili piattaforme senza aver subito una serie di modifiche. E’ tuttavia altrettanto vero che il compito non è certo proibitivo e che l’attuale configurazione di questo velivolo (sopratutto per la sua formula bimotore) sembra prestarsi bene allo scopo.

Insomma, al di la delle indubbie difficoltà che ancora attendono la nascita (nel primo caso, quello della portaerei) o lo sviluppo (nel secondo caso, quello del Kaan), non vi è dubbio alcuno che la Turchia stia comunque continuando la sua marcia verso un ruolo di sempre maggiore protagonismo sulla scena internazionale, anche grazie a una buona dose di spregiudicatezza.

Favorita in qualche modo dalla sua posizione geografica di cerniera tra Europa e Asia e perno centrale di molte crisi che si sono sviluppate ai propri confini (e anche oltre), Ankara ha puntato ormai da su 2 pilastri: il potenziamento del proprio strumento militare e la crescita (produttiva e tecnologica) della propria industria della Difesa, affrancandosi così dal ruolo di semplice potenza regionale per assumerne invece uno di portata più ampia.

E non c’è dubbio alcuno che l’arrivo di questa portaerei, a sua volta equipaggiata con cacciabombardieri di di produzione nazionale, diventerebbe (di fatto) il simbolo più efficace di questa vera e propria “politica di potenza” di Ankara; che comunque, nel frattempo, sta potenziando in ogni sua componente (di superficie e subacquea) la propria Marina. Una politica che, non a caso, fa perno proprio sul mare e ancora più nello specifico su una dottrina dal cui nome si capisce già molto: “Mavi Vatan” o “Patria Blu”, il cui postulato implica esattamente ottenere il controllo del mare (in maniera anche aggressiva) quale mezzo per imporre/estendere la propria influenza e per sfruttare/controllare le sue risorse.

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