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Panache

Alitalia, chi ha e chi non ha il panache blanc

Il corsivo di Catone Il Censore

 

Il panache blanc (piuma bianca che, secondo la leggenda, era sul casco di Enrico IV di Francia come distintivo di rigore e di coraggio) appare ben tre volte nella tragedia in versi di Edmond Rostand Cyrano de Bergerac: nel secondo atto quando il protagonista sfida a duello il tronfio e supponente Montfleury, nel quarto – quello della battaglia di Arras – in cui viene fatto un riferimento esplicito a Enrico IV e nell’ultimo e quinto atto quando il protagonista morente nelle braccia di Roxane dice che di fronte a Dio gli si potrà togliere tutto tranne il suo panache.

Perché parlarne? Sarebbe ovvio pensare che se dopo un’infusione di 12 milioni di euro dei contribuenti (e dei loro figli e nipoti perché parte dell’ingente somma è stata ottenuta aumentando il debito della pubblica amministrazione), gli addetti di un’azienda a cui viene somministrato l’olio santo avrebbero in gran cura il loro panache, per essere scelti tra i pochi di terra che entreranno nella nuova Aereo Trasporti Italiani (ATI) o comunque per ricollocarsi sul mercato del lavoro.

Mentre l’Unione europea chiede discontinuità, e tra Palazzo Chigi, Via Venti Settembre e Via Molise ci si arrabatta, a Catone sembra che non tutti – come si dice ad Ostia – abbiano capito l’antifona.

Catone conosce la vicenda di un anziano professore, ormai a riposo, il quale vent’anni fa scrisse un saggio in cui allora Alitalia era da considerarsi tecnicamente fallita, ma, da buon patriota, è rimasto fedele alla compagnia di bandiera. Accumulando punti, o meglio «miglia». È stato a lungo socio del Club Ulisse in quanto volava molto per incarichi con la Banca Mondiale, la Fao e l’Organizzazione internazionale del lavoro. Non lo è più; quindi, per il suo panache, non utilizza i servizi (compreso il numero di telefono del Club).

Il nostro aveva acquistato nel gennaio 2020 con parte delle «miglia» biglietti per andare a Monaco di Baviera e da lì raggiungere il Festival di Salisburgo. A ragione della pandemia la primavera 2020 aveva mutato le prenotazione per andare a fine marzo 2021 sempre a Monaco per alcune serate con i due Richard, Strauss e Wagner. Ma è arrivata la seconda o terza ondata, si rendeva necessaria una nuova ri-prenotazione. Uno sbirciata al sito e, quindi, 892010 come digitato nella primavera 2020.

Dopo tre giorni di inutili tentativi (numero sempre occupato), dato che il prof. ha anche svolto un’intesa attività pubblicistica ed è iscritto all’ordine dal lontano 1966, ha pensato di rivolgersi all’ufficio stampa. Impossibile trovare un numero di telefono sul sito. Quindi, invio di mail a cui non segue neanche una ricevuta di ricezione, e ricorso ad amici «militanti». Viene accolto da persona visibilmente seccata per essere stata chiamata un sabato pomeriggio nonostante – come i medici ed i professori – i giornalisti ed i media relations officer siano sempre in servizio. Ma viene assicurato che qualche «dipendente» del servizio clienti si sarebbe tosto fatto vivo.

Dato che il silenzio diventava sempre più assordante, la mattina dopo il prof. ha scannerizzato i biglietti e li ha inviati con una cortese lettera di reminder. Ha poi pensate di fare un tentativo: provare con il numero di telefono del Club Ulisse… non si sa mai e – come diceva Totò – «da cosa nasce cosa».

Qui inizia una scena da Edmond Rostand. Sul telefono fisso, il prof. parla con una gentile signorina che da Palermo risolve la questione e lo avvisa che causa Covid (e riduzioni voli) il numero Club Ulisse serve per tutti i soci Mille Miglia (perché non sono stati avvisati? perché non lo dice chiaramente il sito? perché non lo ha spiegato subito il media relations officer?): sul cellulare con un irato officer per la nuova lettera: “avrebbero risposto tra qualche giorno”, magari dopo il decollo del volo. Il tono era quello di Filippo II di Spagna (quello a cui secondo il monumentale studio di Luciano Pellicani sul capitalismo, si deve il mesto declino dell’Impero degli Asburgo della Penisola Iberica). Tanto che, terminata la conversazione sul cellulare, la Signorina di Palermo, probabilmente dipendente di un call center a bassa paga, si è voluta «scusare a nome dell’azienda» del comportamento dell’altro interlocutore.

Ed il panache? Mi auguro, per amor di Patria, che ATI prenda solo quelli a cui preme averlo.

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