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Alfa Romeo Milano o Junior? Ecco cosa dice l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli

Il caso Alfa Romeo Milano ribattezzata Junior: le parole del gruppo auto, la reazione del ministro e le slide dell'Agenzia delle Dogane da cui emerge che...

Il rebranding di un marchio non è una passeggiata di salute. Comporta costi difficilmente immaginabili, dato che il vecchio nome deve essere cancellato da brochure, depliant e, nel caso delle auto, persino dalle carrozzerie, per essere sostituito dal nuovo, che probabilmente è il secondo per gradimento nelle ricerche marketing che avevano portato alla scelta del principale.

QUEI CINQUE GIORNI DELL’ALFA ROMEO MILANO

Stellantis si è presa cinque giorni per decidere se mantenere il nome Milano per l’ultimo modello di Alfa Romeo oppure cambiarlo a seguito delle polemiche innescate dal ministro del Made in Italy Adolfo Urso. Alla fine ha prevalso quest’ultima opzione.

Festeggia il diretto interessato, che a caldo commenta: “Credo sia una buona notizia che giunge proprio nella giornata del made in Italy che esalta il lavoro, l’impresa, la tipicità e la peculiarità del prodotto italiano che tutti ci invidiano nel mondo”.

 

PER URSO “BUONA NOTIZIA CHE PUO’ INVERTIRE LA ROTTA” (MA NON DICE COME)

Sebbene non spieghi i termini, per il titolare di quello che un tempo fu il ministero allo Sviluppo economico il cambio di nome da Milano a Junior sarebbe “una buona notizia, che penso che possa esaltare il lavoro e l’impresa e consentirci di invertire la rotta, anche per quanto riguarda la produzione di auto nel nostro Paese”.

LE PAROLE DEL CEO DI ALFA ROMEO

Sul fronte opposto l’ad dello storico brand meneghino, Jean-Philippe Imparato (nella foto): “Carlos Tavares mi ha chiamato nel weekend, le nostre decisioni non saranno impattate da questo episodio: quando decidiamo di alloccare una vettura la decisione viene presa in maniera molto precisa, sulla base di cifre in un comitato ad hoc quindi non è immaginabile che un esponente del governo, di qualsiasi governo, possa avere impatto su questo tipo di decisioni”.

L’Alfa Romeo abbandona Milano e diventa Junior insomma proprio per non cambiare fabbrica. Quasi a voler rimarcare che la Suv elettrica può comunque essere fatta altrove, anche a costo di questa sterzata improvvisa sul nome.

I TIMORI DI IMPARATO

“Ora ripartiamo sperando che la questione si chiuda qui”, ha sibilato il Ceo del marchio, che poi ha aggiunto: “Nessuno venerdì mi ha detto di cambiare il nome ma quando respiri una certa aria devi farlo. Non vogliamo pagare multe, i soldi dell’azienda sono troppo importanti, non voglio pagare per avere il diritto di importare macchine e non voglio vedere le mie auto bloccate, quindi nello spirito corretto cambio nome dappertutto nel mondo”.

Repubblica, come Start aveva raccontato, aveva sbeffeggiato l’uscita di Urso, spiegando che la sua boutade non avesse il minimo fondamento legale. Eppure le parole del ceo del Biscione a quattro ruote sembrano dire l’opposto. Se ci fosse o meno margine d’azione per una causa è impossibile dirlo: è materia tecnica da avvocati, peraltro essendo un contenzioso anomalo sarebbe una giurisprudenza ancora tutta da scrivere.

Quel che è certo è che Stellantis non ha voluto arrivare allo scontro. O forse ha voluto rimarcare la decisione di allontanarsi dal Paese anche a costo di concedere questa piccola vittoria all’esecutivo italiano. Ma, come ha detto Imparato, il Gruppo italofrancese non ha nemmeno voluto correre il rischio di trovarsi impelagata in un contenzioso foriero di mille e più incognite.

L’ALFA ROMEO MILANO VIOLAVA LA LEGGE?

Si sa, com’è possibile leggere in questi materiali sulle norme di riferimento, che non è possibile rivendicare l’origine nazionale (“made in Italy”) per quei beni per i quali una parte rilevante del processo produttivo è stato realizzato all’estero. Non è dato sapere se Milano da parte sua costituisse in re ipsa indicazione di provenienza italiana. E, probabilmente, in un eventuale processo gli avvocati si sarebbero concentrati su questo punto.

Una strada scivolosa, dato che la legge dice che se il prodotto ha origine estera non è possibile non solo apporre l’indicazione “made in Italy”, ma anche altre indicazioni fallaci. Se poi si tira in ballo la tutela del consumatore, è facile giocare su estensioni interpretative: il marchio Alfa Romeo è italiano, Milano è una delle più note città italiane, è facile che il tandem instilli la ragionevole convinzione in chi acquista di comprare un’auto made in Italy.

IL RISCHIO DEL BLOCCO ALLA DOGANA

Forse Stellantis aveva persino il timore che lo Stato facesse leva sull’Accordo di Madrid che permette di bloccare alla frontiera le merci per le quali vi sia il fondato sospetto che rechino una falsa o fallace indicazione di provenienza. In quel caso è possibile far scattare un fermo amministrativo all’atto della loro introduzione nel territorio dello Stato da parte degli uffici doganali competenti. La questione inoltre non ha solo natura civilistica-amministrativa, avendo potenzialmente rilievo penale.

L’articolo 517 del Codice penale individua la seguente condotta: “Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro”.

Tutto questo significa che Stellantis sarebbe stata condannata? Non necessariamente. Significa però che la boutade di Urso forse non era così campata in aria. Soprattutto con riferimento alla fallace indicazione d’origine. In queste slide dell’Agenzia delle dogane è possibile leggere esempi afferenti: “Uso di segni, figure o quant’altro possa indurre a ritenere che il prodotto sia d’origine italiana, anche se è indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti (es. bandiera italiana, Colosseo, Italian Style, nome e indirizzo dell’azienda italiana)”.

Per mera logica, se a un imprenditore egiziano che fa pagnotte gli è vietato di produrre pane la cui origine estera è esplicitata ma recante la marca “Colosseo”, magari con tanto di bandiera italiana sul packaging, allo stesso modo dovrebbe essere proibito a Stellantis produrre un’auto in Polonia e chiamarla Milano.

Alla luce di questo rapidissimo excursus nella normativa, le parole del Ceo di Alfa Romeo (“Non vogliamo pagare multe, i soldi dell’azienda sono troppo importanti, non voglio pagare per avere il diritto di importare macchine e non voglio vedere le mie auto bloccate, quindi nello spirito corretto cambio nome dappertutto nel mondo”) assumono ben altro significato e si comprende perché Stellantis abbia preferito metter mano al portafogli e pagare il rebranding dell’ultimo minuto piuttosto che giocare d’azzardo e rischiare una causa che avrebbe comportato in via cautelare il blocco alla dogana delle vetture in uno dei suoi mercati principali.

Una cosa è certa: con questa mossa che ha sorpreso tutti Stellantis ha detto a chiare lettere di essere disposta ad affrontare spese impreviste di una portata non indifferente piuttosto che spostare la produzione dell’Alfa Romeo in Italia. Tra i due litiganti, Tavares e Urso, il terzo, rappresentato dagli operai di Fiat, certamente non gode.

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