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Alfa Romeo

Perché Alfa Romeo è in crisi?

Che cosa succede ad Alfa Romeo? L'approfondimento di Antonio Sileo

In occasione dell’illustrazione dei conti del terzo trimestre, mentre il titolo FCA, tra i tanti osanna per la “fusione” con PSA, cresceva in borsa, è stato nuovamente rivisto al ribasso il piano industriale di Alfa Romeo, presentato a giugno 2018, l’ultimo dell’era Marchionne.

Nelle slide pubblicate sul sito internet del marchio di Arese, dove oggi della grande fabbrica è rimasto solo il museo e un call center per i servizi alla clientela FCA, i modelli attesi per il 2022 sono passati da 7 a 4. Sono scomparsi quella che sarebbe dovuta essere la nuova Giulietta, ormai sul mercato da 10 anni, un grande SUV, imparentato con la Maserati Levante, la versione coupé della Giulia e, salendo ancora di gamma, una berlinetta sportiva che avrebbe dovuto prendere il nome “8C”; le ultime due sarebbero dovute essere prodotte nello stabilimento Maserati di Modena. È stato, invece, aggiunto un SUV di segmento B e confermato il Tonale, il SUV di segmento C (quello della Giulietta e delle vetture compatte). Tra le possibili ragioni della revisione del piano vi sono senz’altro quelle afferenti ad un contesto europeo atteso particolarmente difficile, dove dal prossimo anno inizia il conteggio per il raggiungimento dell’obiettivo di contenimento delle emissioni del 2021 (e ancor più sfidanti sono i traguardi del 2025 e 2030), che certamente mal si concilia con vetture di grandi dimensioni o molto potenti. E le sanzioni sono salatissime: 95 euro per ogni grammo di CO₂ in eccesso per numero di autovetture vendute.

alfa romeo

 

Ma gli obiettivi sulle emissioni sono noti da tempo e tutte la auto scomparse dal piano sarebbero nate elettrificate, vale a dire con un motore elettrico e, in alcuni modelli, con la possibilità di ricaricarsi dalla rete elettrica, cosa che permette di fare miracoli al fine del raggiungimento dei traguardi sulle emissioni.

Resta il calo delle vendite: da inizio anno, sul solo mercato italiano, le vetture Alfa segnano una flessione del 44,5%, vendendo meno della metà dei marchi tedeschi con cui si dovrebbero confrontare.

Ciò è senz’altro vero, tuttavia, specie in mercati a dir poco maturi, in cui per incontrare i gusti di corteggiatissimi e viziati consumatori, è difficile non convenire sulla necessità di un’offerta quanto mai variegata. Ebbene, quella dell’Alfa Romeo non va oltre le dita di una mano: solo 5 sono i modelli acquistabili, meno delle Ferrari!

Audi, BMW e Mercedes – che peraltro usano molta componentistica prodotta in Italia – hanno nei italiani rispettivamente: 26, 35 e 35 modelli, e coprono tutti i segmenti a partire da quello delle compatte (anche utilitarie, il segmento B, nel caso di Audi) fino al lusso.

Se poi si considera che tra i soli 5 modelli Alfa ben due sono le sportivissime 4C,- ottime anche per lo struscio, ma che necessitano di una certa prestanza fisica, anche solo per entrare e uscirvi – forse non è il caso di lamentarsi troppo.

Negli ultimi anni la macchina del rilancio sarebbe dovuta essere la Giulia: finalmente, dopo troppo tempo, un’Alfa a trazione posteriore, una vera Alfa. La vettura, in verità, non ha affatto deluso in termini prestazionali e di dinamica di guida, anzi è diventata il punto di riferimento del segmento D. Tuttavia, benché apprezzata anche all’estero, non ha sfondato in termini di vendite, non riuscendo a replicare il grandissimo successo della 156, prodotta fino al 2005, anch’essa riferimento per la categoria e venduta in 66 Paesi. Senza dilungarci, va sottolineato che nel frattempo la concorrenza è aumentata, segnatamente in termini di modelli. Dove, l’Alfa schiera la piattaforma Giorgio, su cui sono realizzate la Giulia, il SUV Stelvio, i marchi tedeschi, oltre alla berlina e un paio di SUV, offrono la station wagon, la cosiddetta coupé a 4 porte, la coupé vera e la cabriolet. E, ovviamente, si stanno danno dando da fare con l’elettrificazione: sia con l’ibridizzazione leggera sia con l’ibrido ricaricabile (plug-in), che permette di percorre decine di km con la sola propulsione elettrica (se caricata dalla rete).

L’Alfa non ha prodotto nemmeno la Giulia station wagon, modello presente e apprezzato con le precedenti 156 e, ancor di più, 159 e naturalmente previsto in uno dei tanti piani industriali.

Come dicono anche le maestranze, non basta realizzare un ottimo prodotto, con una valida piattaforma, ma bisogna anche svilupparlo, di continuo, come fanno gli altri e con un time to market almeno paragonabile a quello della concorrenza.

Non abbiamo spazio per ricordare che l’Alfa Romeo, come tutti sanno, è la mamma della Ferrari o l’auto di Tazio Nuvolari o che ne Il laureato sarebbe potuto cambiare l’attore protagonista, ma non il Duetto, o che in Germania ancora ricordano le botte prese, nel DTM, a casa loro, dalla 155, o ancora tornare al 1986 quando l’IRI, presieduta da Romano Prodi, preferì Fiat alla Ford.

Ma non dimentichiamo, ora che un nuovo gigante franco-italo-americano si affaccia sul mercato dell’auto con ben 14 marchi da gestire, che Autobianchi e Innocenti già di proprietà Fiat sono sparite, e che per Lancia manca pochissimo.
Alfa e anche Maserati, in verità, non hanno sovrapposizioni con i marchi francesi, tuttavia, pur prendendo atto della scarsa propensione ad investire della proprietà, rilanciare la seconda dimenticandosi della prima non sembra essere la migliore della strategie.

Ma, escludendo forse per vecchie promesse, l’ipotesi di una cessione, ci piace pensare che con la guida del nuovo gruppo nelle mani di Carlos Tavares, non un uomo di finanza, ma un “car guy” che, da contratto, almeno 22 volte all’anno va in pista a gareggiare con auto storiche, e dunque sa che nel mondo ci sono gli Alfisti, per l’Alfa Romeo le cose ancora una volta cambino, in meglio però.

Infine, in un Paese industrializzato non dovrebbe essere il caso di ricordare che le automobili, di qualsiasi marchio, si realizzano ancora con l’acciaio

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