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Tempelhof

L’emergenza abitativa cancellerà il parco-aeroporto di Tempelhof?

L'aeroporto di Tempelhof, quello del ponte aereo, è oggi un parco libero che i berlinesi vogliono salvaguardare dall'immobiliare. Ma la crisi degli alloggi preme. L'articolo di Pierluigi Mennitti da Berlino.

Sulla lunga scia d’asfalto di una delle due piste di decollo e atterraggio scivolano fanatici dello skateboard, sportivi su pattini a rotelle, ciclisti disattenti, comitive con le sporte per i picnic, bimbi con genitore al fianco e aquilone al guinzaglio, deliziose nonnine aggrappate tenacemente al deambulatore. C’è posto per tutti sul vecchio tracciato dell’aeroporto di Tempelhof.

CHE NE SARÀ DEL “PARCO” DI TEMPELHOF

Dove una volta rombavano i motori dei Rosinenbomben, gli aerei alleati che nel 1948 laceravano dal cielo il blocco di Berlino Ovest voluto da Stalin, ora si estende un campo infinito di quasi 400 ettari. Lo chiamano parco, anche se del parco ha poco o nulla: non un albero, né un percorso botanico, neppure un’aiuola. È un enorme spazio indefinito sul quale vengono proiettate visioni urbanistiche della Berlino futura, puntualmente destinate a svanire.

L’ultima è stata affossata qualche anno fa da un referendum popolare, promosso dal comitato civico 100% Tempelhofer Feld. In ballo c’era il progetto del Senato cittadino, o almeno la sua variante più recente: realizzazione di una biblioteca centrale, riqualificazione del terminal in un forum per lo sviluppo dell’economia creativa, edificazione di tre aree abitative e creazione nei restanti 220 ettari di un parco attrezzato, con alberi, piante, laghetti artificiali e servizi sportivi e ricreativi. I cittadini non si sono fidati. Quando il Senato insisteva sulla necessità di calmierare l’emergenza abitativa e il conseguente aumento degli affitti, loro evidenziavano le cupidigie degli investitori immobiliari e il timore che la tipologia degli edifici progettati fosse destinata a soddisfare solo clientele benestanti. Quando gli amministratori sollevavano il problema della frammentazione della rete di biblioteche, gli esponenti del comitato rinfacciavano i costi del nuovo edificio.

Il nuovo governo della città intende riprovarci, perché nel frattempo l’emergenza abitativa si è fatta ancora più impellente, ma è probabile che il nuovo fronte contrapposto si muoverà sulle stesse posizioni di allora.

In realtà ai berlinesi pare che lo spazio di Tempelhof piaccia così com’è, un non-parco strappato alle tentazioni degli speculatori dove riversarsi nel tempo libero senza troppe pretese. Una sorta di luogo fuori pianificazione, un immenso grande buco inedificato nel mezzo (o quasi) della metropoli, a tardiva memoria dei tanti spazi liberi urbani colmati dalla furia costruttiva che ha contagiato i pianificatori dalla caduta del Muro. Se si vuole, una reazione dal basso alle decisioni non condivise degli amministratori, una sfida carica di scetticismo alla politica rappresentativa.

Il terreno sul quale cresce la gramigna è stato aperto al pubblico nel maggio del 2010 e suddiviso in aree abbastanza definite. Percorrendo le strade asfaltate su cui fino a sei anni fa rollavano aerei e mezzi di servizio, si costeggia l’area destinata ai picnic, poi quella riservata alle coltivazioni ortofrutticole gestite dall’associazione Allmende Kontor, che ha ottenuto dal Senato una concessione per realizzare orti urbani e infine si raggiunge lo spazio assegnato alle grigliate. Immerse in una nebbia di arrosti di würstel e spiedini di kebab, prolifiche famigliole turche si affaccendavano fino a poco tempo fa davanti ai barbeque, odorando di arrosti anatolici le domeniche nell’ex aeroporto. Il verbo è coniugato al passato, perché il rischio di incendi dovuto alla siccità ha consigliato quest’anno il governo cittadino a emettere un divieto di grigliata. L’anno prossimo si vedrà.

DA GRANDE AEROPORTO A PROBLEMA URBANISTICO

È un paradosso della storia che lo scalo definito da Norman Foster la madre di tutti gli aeroporti sia diventato un problema urbanistico. Qui Berlino ha scandito le epopee e soprattutto i drammi del suo Ventesimo secolo. Da uno spiazzo per gli esordi dell’aviazione civile e militare di inizio Novecento nacque nel 1923 l’aeroporto, impreziosito nel 1927 da un piccolo edificio per le partenze. La megalomania di Adolf Hitler lo trasformò negli anni Trenta nell’aeroporto del Terzo Reich, con il sontuoso terminal ora finito sotto tutela artistica. Orgogliosi, i sovietici l’occuparono nella battaglia di Berlino per poi cederlo agli americani nella spartizione della città.

Agli statunitensi piaceva questo piccolo gioiello architettonico. Le due piste erano perfette per i velivoli dell’epoca, si atterrava e si rombava fino al grande piazzale ad arco che replicava la struttura centrale del terminal. Così cominciò la stagione americana di Tempelhof. Da quelle piste partì il primo volo dell’American Overseas Airlines, che inaugurò nel maggio 1946 la linea  per New York: l’alba di una nuova era. Ma la fama di Tempelhof doveva ancora conoscere il suo apice, il momento che resterà impresso sui libri di storia: il ponte aereo. Per oltre un anno, dal giugno 1948 a fine settembre 1949, 278.228 aerei decollati dagli aereoporti di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna vi scaricarono 2.326.406 tonnellate di carbone per riscaldamento, cibo, forniture, macchinari e medicinali. Le foto dei berlinesi assiepati sulla collinetta antistante le piste di atterraggio, con le mani alzate al cielo in segno di saluto, testimoniano l’emozione del momento.

Lo sviluppo dei grandi aerei intercontinentali ne segnò il tramonto, relegando l’aeroporto a scalo regionale. Il colpo di grazia arrivò però dalla caduta del Muro: la nuova capitale voleva dotarsi di un nuovo aeroporto moderno. Dei tre scali della Berlino della Guerra Fredda (due a ovest, uno a est) solo Tempelhof ha chiuso in anticipo i battenti. Gli altri due (Tegel e Schönefeld) sono rimasti in piena attività oltre i termini previsti perché l’inaugurazione del nuovo scalo intitolato a Willy Brandt si è trascinata scandalosamente per anni. Vista dagli aquiloni di Tempelhof, è parsa una perfida vendetta.

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