Plastiche e microplastiche sono state rintracciate nelle più svariate parti del corpo, così come alcuni loro effetti sulla salute. Ora, uno studio condotto dall’Università del Maryland ha indagato in particolare sull’impatto di alcune sostanze chimiche comuni utilizzate nella plastica e ha scoperto che potrebbero essere collegate a malattie coronariche, ictus e decessi.
SOSTANZE TOSSICHE IN PRODOTTI COMUNI
Bisfenolo A (BPA), di(2-etilesile) ftalato (DEHP) e gli eteri di difenile polibromurati (PBDE). Sono questi i tre tipi di sostanze chimiche presi in considerazione per lo studio pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas).
Il bisfenolo A e il di(2-etilesile) ftalato si trovano negli imballaggi di plastica per alimenti, mentre gli eteri di difenile polibromurati sono ritardanti di fiamma utilizzati in alcuni prodotti per la casa, come mobili ed elettronica. Va però ricordato che sono oltre 16.000 le sostanze chimiche incorporate nelle plastiche per conferire proprietà come colore, flessibilità e resistenza e che possono fuoriuscire dalle plastiche, provocando un’ampia esposizione umana nell’uso quotidiano.
BISFENOLO A AL CENTRO DELLA BUFERA
Il bisfenolo A, tra l’altro, è stato al centro del dibattuto regolamento Ue sugli imballaggi, il cui testo negoziale lo mette al bando dagli imballaggi a contatto con gli alimenti proprio per prevenire effetti negativi sulla salute. Ma solo due mesi fa la mediatrice civica dell’Ue, Emily O’Reilly, ha richiamato la Commissione europea per la sua lentezza nel comunicare le decisioni di autorizzazione relative alle sostanze chimiche pericolose. Bruxelles infatti si prende in media 14,5 mesi, contro i 3 previsti dalla legge.
L’intervento di O’Reilly ha fatto seguito alla segnalazione di alcune Ong ambientali che hanno denunciato varie volte la Commissione di superare regolarmente le scadenze fissate dal regolamento sulla registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche (Reach) per decidere sui divieti e le restrizioni. Queste, inoltre, ricorda Euractiv, “hanno presentato alcuni casi studio, tra cui uno sul Bisfenolo A, identificato come sostanza chimica prioritaria per l’eliminazione già più di 20 anni fa e che non è ancora stato inserito nell’elenco di autorizzazione del Reach”.
LO STUDIO
Basandosi su oltre 1.700 studi pubblicati in precedenza, il team ha stimato l’esposizione delle persone a queste tre classi di sostanze chimiche in 38 Paesi, che rappresentano circa un terzo della popolazione mondiale. Tre di questi Paesi – Stati Uniti, Canada e Corea del Sud – dispongono anche di database pubblici che monitorano i livelli di tali sostanze chimiche in campioni di urina e di sangue, fornendo dati ancora più precisi.
I RISULTATI
In combinazione con le cartelle cliniche e i rapporti tossicologici, i ricercatori hanno calcolato gli esiti sanitari attribuibili a tali sostanze e hanno scoperto che nel 2015 circa 5,4 milioni di casi di malattia coronarica e 346.000 ictus erano associati all’esposizione al bisfenolo A e che circa 164.000 decessi in persone di età compresa tra i 55 e i 64 anni potevano essere dovuti al di(2-etilesile) ftalato.
Gli autori ci tengono comunque a sottolineare che sono solo approssimativi. “Credo che una delle vere limitazioni, francamente, sia la mancanza di dati sull’esposizione a queste sostanze”, ha detto Maureen Cropper, primo autore della ricerca, il quale ritiene che le stime per alcuni Paesi potrebbero essere meno accurate di altre. “Sarebbe una buona idea – ha aggiunto – se un maggior numero di Paesi monitorasse effettivamente [l’esposizione a] queste e altre sostanze”, in modo da migliorare la comprensione del loro impatto sulla salute pubblica.
LE LEGGI SERVONO
Le leggi per limitare o eliminare l’utilizzo di queste sostanze però potrebbero fare la differenza. Secondo lo studio, infatti, grazie alle normative emanate alla fine degli anni 2000, la loro diffusione è diminuita in molti Paesi come gli Stati Uniti, il Canada e l’Europa. Tuttavia, i ricercatori stimano anche che si sarebbero potuti evitare circa 515.000 decessi se l’esposizione a bisfenolo A e di(2-etilesile) ftalato negli Stati Uniti fosse stata ai livelli successivi alla regolamentazione del 2003. “Questo – afferma Cropper – sottolinea l’importanza che i governi e i produttori limitino l’uso di sostanze chimiche tossiche nei prodotti di plastica prima che questi raggiungano i consumatori”.