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Regioni Tamponi

Tutti i fallimenti della strategia del governo anti Covid. L’analisi di Ricolfi

"La seconda ondata è il frutto, prevedibile e previsto, delle omissioni di Stato e regioni nei mesi scorsi sui versanti cruciali". L'analisi del prof. Luca Ricolfi, sociologo e docente di Analisi dei dati

 

La seconda ondata è il frutto, prevedibile e previsto, delle omissioni dei mesi scorsi sui versanti cruciali: aumento dei tamponi e dei drive-in, creazione di una task force per il tracciamento dei contatti, controllo degli assembramenti, assunzioni di personale sanitario, rafforzamento delle terapie intensive, aumento della flotta dei mezzi di trasporto, organizzazione della sorveglianza sanitaria nelle scuole, riduzione del numero di alunni per classe, scaglionamento degli orari di ingresso nelle scuole. Anziché fare queste cose, ci hanno raccontato che tutto il mondo ammirava il modello italiano di contrasto dell’epidemia.

Non avendole fatte, la seconda ondata ha avuto la strada spianata. C’è chi ha avvertito del pericolo a maggio, chi a giugno, chi a luglio, ma a partire dalla metà di agosto non si poteva non capire, perché tutti gli indicatori (ripeto: tutti gli indicatori) dicevano che la curva non cresceva più linearmente, ma esponenzialmente.

È questo non voler vedere che ci ha portati, oggi, a dover fronteggiare un’onda molto alta e pericolosa. Ed è questo il motivo per cui siamo chiamati a nuovi sacrifici, anche se per ora preferiscono non dirci quali, quanto grandi, e soprattutto quanto lunghi. Ma la risposta è semplice: i sacrifici saranno tanto più grandi e tanto più lunghi quanto più il governo continuerà a temporeggiare, rimandando misure che già sa che dovrà prendere.

Sono pronti, gli italiani, a una nuova stagione di sacrifici? Io penso di no, in parte per cattive ragioni, in parte per ottime ragioni.

Le cattive ragioni si riducono ad una: la nostra società, nonostante sacche di povertà e di malessere, somiglia ormai più a un luna park che a una fabbrica. Novantacinque genitori su 100 mai avrebbero osato dire ai propri figli che era meglio, per un’ estate, rinunciare ai divertimenti di massa e passare ad occupazioni meno pericolose o più utili, ad esempio vedere pochi amici, fare sport all’aperto, recuperare il tempo di studio perduto durante il lockdown.

Ma anche a noi, che adolescenti non siamo più, sarebbe risultato molto doloroso non essere liberi di passare le vacanze all’estero, o dover osservare scrupolosamente le regole di prudenza, a partire dall’uso della mascherina e dal rispetto del distanziamento. Insomma, la maggior parte degli italiani ha pensato e pensa di aver fatto già sufficienti rinunce nel lockdown di marzo-aprile, e che non sia proprio il caso di farne altre. Queste sono le cattive ragioni, perché una società che ha perso la capacità di affrontare sacrifici per il bene comune è semplicemente una società in decadenza, anche se preferisce descriversi in registri più indulgenti.

Ma nella resistenza a fare nuovi sacrifici ci sono anche buone ragioni. Ottime ragioni. Che io ridurrei a una: il premier Conte non ci ha chiesto scusa. Si è presentato come di consueto in tv, per dirci che la situazione era grave, e che dovevamo di nuovo fare sacrifici. Eh no, caro premier, noi avremmo voluto sentire un altro discorso, un discorso di verità e di umiltà. Un discorso che suonasse più o meno così.

«Cari italiani, è vero, in questi mesi, nonostante i pieni poteri che ci siamo presi proclamando lo stato di emergenza, non abbiamo fatto, a, b, c, d, e, f, …(qui lungo elenco), né abbiamo davvero preteso che voi faceste quello che vi avevamo prescritto, tipo niente movida, niente assembramenti sui mezzi pubblici, rispetto rigoroso del distanziamento.

Un po’ abbiamo chiuso un occhio per risarcirvi dei due mesi di lockdown, un po’ abbiamo latitato perché siamo litigiosi, disorganizzati, e tendiamo a rimandare le decisioni difficili. Però ora che l’epidemia ha rialzato la testa la lezione l’abbiamo capita.

Abbiamo capito che aveva ragione il professor Crisanti quando, a luglio, ci diceva che 300 positivi al giorno non sono pochi. E aveva ancora più ragione quando, ad agosto, più di due mesi fa, ci consegnava un piano per aumentare i tamponi e costruire un vero sistema di sorveglianza attiva dell’epidemia. E avevano pure ragione quanti ci avvertivano che le scuole non erano pronte per riaprire, nonostante una raffica di banchi a rotelle in arrivo».

E ancora. «Ecco perché, nel momento in cui vi chiediamo i primi sacrifici, cui fra poco ne seguiranno altri, vi promettiamo anche che quegli errori non li faremo più. Ecco il nostro cronoprogramma, con le cose che faremo, gli stanziamenti, i tempi entro i quali vi garantiamo che le cose saranno fatte (segue lungo e dettagliato elenco di cose non fatte, ma che verranno fatte nei prossimi tre mesi).

Perché sappiamo bene, ora ci è chiaro, che se non faremo tutte queste cose l’epidemia, dopo i vostri nuovi sacrifici, sembrerà in ritirata per qualche settimana o mese, ma poi si ripresenterà implacabilmente con una terza ondata».

Noi, queste parole non le abbiamo ancora sentite. Noi questo programma non lo abbiamo ancora visto. E lo vorremmo. Subito. Se non lo vedremo, i sacrifici li faremo di nuovo, come sempre, ma non riusciremo a toglierci il dubbio che, ancora una volta, saranno inutili.

Luca Ricolfi

(Estratto di un commento pubblicato su ilmessaggero.it; qui l’articolo integrale)

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