Dal 26 aprile l’Italia tornerà gradualmente a una vita normale. In questo fase sarà fondamentale monitorare la diffusione delle varianti per non farsi trovare impreparati di fronte a quelle che potrebbero sfuggire alle difese del sistema immunitario e abbassare l’efficacia dei vaccini.
A metà gennaio del 2020 un gruppo di ricercatori cinesi e australiani ha pubblicato per la prima volta l’intera sequenza di quel virus, allora sconosciuto, che stava provocando un esteso focolaio di casi di polmonite nella città di Wuhan. Il Sars-CoV-2, come tutti i virus, muta naturalmente molte volte con l’aumento del numero di contagi. Dall’inizio della pandemia, a dicembre erano già oltre 4000 le sole mutazioni che interessano la proteina spike del virus.
Per scovare nuove varianti è dunque necessario sequenziare la composizione genetica dei campioni virali ricavati dai tamponi positivi.
OMS: analizzare almeno il 5% dei tamponi
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, assieme ai centri di prevenzione e controllo delle malattie statunitense e europeo, ha stabilito che per rendere efficace il programma di sorveglianza genomica è necessario sequenziare almeno il 5% dei nuovi casi rilevati quotidianamente con i test diagnostici.
Danimarca e UK in prima fila nel sequenziamento
Il Consorzio britannico COG-UK svolge – secondo gli esperti del settore – un fondamentale lavoro di sequenziamento genomico. La struttura inglese ha sequenziato circa metà degli oltre 400.000 genomi di SARS-CoV-2 archiviati su GISAID, un database online senza scopo di lucro per la condivisione di genomi virali. All’archivio partecipano circa 140 Paesi del mondo, la maggior parte ha caricato solo un piccolo numero di sequenze. In Danimarca c’è il Danish Covid-19 Genome Consortium che ogni settimana pubblica un aggiornamento sulle attività di sequenziamento e sulla incidenza delle diverse varianti nei nuovi casi diagnosticati.
I numeri del sequenziamento in Europa
Danimarca e Regno Unito sono le nazioni che contribuiscono maggiormente al popolamento del database GISAID, l’archivio mondiale di tutte le sequenze di tutti i virus influenzali e del coronavirus che causa COVID-19. Tra settembre 2020 e il 13 gennaio 2021 la Danimarca, che conduce il maggior numero di indagini genetiche nell’Unione europea, ha sequenziato circa il 15% dei casi diagnosticati, segue il Regno Unito con il 5%, Norvegia e Finlandia con il 2%, l’Italia lo 0,034%, poco meno dello 0,044% della Francia e dello 0,061% della Germania. Le iniziative di sorveglianza genomica britannica e danese sembrano però uniche nel panorama europeo e forse sono da ascrivere a ragioni storiche e di tradizione scientifica.
Italia: la Cenerentola del sequenziamento
L’Italia, su un numero totale di 834.274 sequenze disponibili su GISAID fino al 22 marzo 2021, ha contribuito con 13.769 sequenziamenti. Il primo anno di pandemia il nostro Paese aveva sequenziato poco più di 6.000 genomi. Il nostro Paese è collocato molto in basso nella classifica mondiale: si trova dopo Bangladesh, Sri Lanka e Oman.
Come funziona il sequenziamento in Italia
In Italia c’è una sorta di consorzio spontaneo. L’analisi delle varianti viene effettuata dai laboratori delle singole regioni, sotto il coordinamento dell’Istituto Superiore di Sanità. A fine gennaio la Società di Virologia aveva annunciato la nascita di un consorzio per il monitoraggio. Tuttavia la crisi del governo Conte II ha lasciato al palo il progetto. L’ECDC raccomanda di sequenziare almeno circa 500 campioni selezionati casualmente ogni settimana a livello nazionale. Prioritari, nel sequenziamento, sono: gli individui vaccinati contro SARS-CoV-2 che successivamente si infettano nonostante una risposta immunitaria al vaccino, i contesti ad alto rischio, quali ospedali nei quali vengono ricoverati pazienti immunocompromessi positivi a SARS-CoV-2 per lunghi periodi, i casi di reinfezione e, infine, gli individui in arrivo da paesi con alta incidenza di varianti SARS-CoV-2.
Le misure non sono tempestive. Eppure una circolare del ministero del 8/01 invitava tutti i laboratori a sequenziare con urgenza dove c’erano casi di reinfezione o di vaccinati contagiati. Come appunto a Perugia. Ma per l’Iss quei sequenziamenti non erano urgenti. #Report pic.twitter.com/i0jpstHGLV
— Report (@reportrai3) April 19, 2021
La mancanza di un coordinamento centrale
“Quello che manca però è un coordinamento centrale che generi un network di competenze e un’analisi standardizzata”. A dirlo è il genetista dell’università di Trieste Marco Gerdol. “L’Istituto Superiore di Sanità tenta di stimolare i laboratori a fare sequenziamento. Adesso i report verranno fatti con cadenza regolare, ma siamo ancora distanti da programmi di altri Paesi europei” continua il prof. Gerdol. Servirebbe un programma serio che funzioni nel medio-lungo periodo e che produce sinergie tra ospedali, università, pubblico e privato. “In Italia ci vorrebbe un consorzio strutturato, promosso dall’Istituto Superiore di Sanità, che si occupi di gestire i dati dei genomi virali e i metadati dei pazienti – dice il prof. Gerold – . Il caricamento dei dati su GISAID naturalmente dovrebbe essere fatto da un bioinformatico. Nel caso del Regno Unito il caricamento viene fatto direttamente dal Sanger Institute di Cambridge, che coordina il consorzio britannico”. Il nuovo governo italiano ha da poco riformato la composizione del Comitato Tecnico Scientifico. Tra i nuovi membri non c’è però neanche un bioniformatico.
Un geniale modo per risolvere il problema delle varianti: non cercarle
Grazie . @emmecola pic.twitter.com/boGIjaFYeX
— Roberto Burioni (@RobertoBurioni) April 20, 2021
Tigem, Campania eccellenza italiana del sequenziamento
Secondo le stime dell’Università di Padova per fare un buon sequenziamento basterebbe analizzare qualche centinaia di casi in Italia per raggiungere l’obiettivo del 5%. “Ad oggi la Campania è l’unica regione che ci riesce – commenta il genetista dell’università di Trieste Marco Gerdol -. Sta facendo bene con un progetto regionale messo in piedi appositamente per l’emergenza Covid e guidato da Tigem (istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli) grazie a uno stanziamento di 7 milioni di euro da parte della Regione: ha iniziato a produrre buoni dati a partire da febbraio. Se le altre regioni si avvicinassero a questi livelli sarebbe già un fatto positivo”.
Voi volendo siete in grado di sequenziare 100 tamponi al giorno.
«Sì, volendo sì».
E quanti ne sequenziate?
«No, ne sequenziamo molti meno»
E perché?
«Perché non ci sono i fondi per fare questo». #Report pic.twitter.com/FgZcIA8apQ
— Report (@reportrai3) April 19, 2021
Abruzzo: prima della classe nei sequenziamenti
Anche l’Abruzzo sta facendo un buon lavoro in materia di sequenziamento. “È stato tra i primi a fare sequenziamenti prosegue il genetista Gerold -, ha scoperto i primi cluster di variante inglese in Italia e oggi processa anche i campioni di Umbria e Molise”. Nel dicembre 2020, quattro campioni di tamponi nasofaringei raccolti dai pazienti a Guardiagrele (Chieti) positivi al Covid evidenziarono l’arrivo in Italia della variante inglese. Da allora, è diventata la variante predominante nel Regno Unito, responsabile di un aumento significativo della trasmissibilità del e dell’incidenza di ricoveri nella seconda metà di dicembre 2020. L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Abruzzo e Molise, ha individuato anche la variante brasiliana da tre tamponi nasofaringei di viaggiatori tornati dal Brasile. Dato che la variante brasiliana ha più chance di eludere la risposta immunitaria il Ministero della Salute italiano vietò i voli con il Brasile. “Altri invece processano i dati dei genomi virali in modo sporadico – continua il dott. Gerold -. La Lombardia da inizio pandemia ha contribuito con solo qualche centinaia di genomi”.