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Con la scadenza dei brevetti è finita la festa per Big Pharma?

Per molti farmaci di punta si avvicina la scadenza del brevetto, il che significa che le entrate di alcune delle più grandi case farmaceutiche si ridurranno drasticamente. Inoltre, l'incertezza causata dalla politica statunitense non aiuta a fare previsioni. Fatti, numeri e commenti.

 

Nei prossimi anni 5 anni, l’industria farmaceutica globale dovrà affrontare una delle sfide più significative del decennio: il cosiddetto patent cliff, ovvero la scadenza di brevetti su farmaci di punta, che apre la strada a generici e biosimilari, abbattendo drasticamente i ricavi.

Inoltre, dagli Stati Uniti spirano venti contrari. Tra le preoccupazioni per l’approvazione dei farmaci da parte della Food and Drug Administration (Fda), le richieste della Casa Bianca di ridurre i prezzi e il congelamento dei finanziamenti federali alla ricerca, l’attività di fusioni e acquisizioni è in stallo.

LA MINACCIA INCOMBENTE DELLA SCADENZA DEI BREVETTI

Secondo un’analisi di GlobalData, entro il 2030 solo il 4% delle vendite mondiali di farmaci sarà coperto da brevetto, rispetto al 12% nel 2022 e al 6% nel 2024. Questo declino è destinato a colpire duramente le grandi aziende farmaceutiche, soprattutto quelle che dipendono da pochi blockbuster per la maggior parte del proprio fatturato.

Tra i casi emblematici, il farmaco anti-infiammatorio Humira di AbbVie, che nel suo ultimo anno di esclusiva ha generato 21,2 miliardi di dollari, è destinato a scendere a soli 2,6 miliardi entro il 2030. Anche Keytruda di Merck – il farmaco più venduto al mondo nel 2024 con 29 miliardi di dollari – perderà la protezione negli Stati Uniti entro il 2029, insieme a Darzalex/Faspro di Johnson & Johnson e Opdivo di Bristol Myers Squibb.

IMPATTI ECONOMICI E STRATEGIE DIFENSIVE

Il patent cliff, secondo Pharmaceutical Technology, si tradurrà in una perdita stimata di oltre 230 miliardi di dollari solo nel mercato farmaceutico statunitense entro il 2030. Le aziende più esposte, come Bristol Myers Squibb con i suoi blockbuster Eliquis e Opdivo, rischiano di subire pesanti danni economici. Ma anche Pfizer, Novartis e altre tra le 15 maggiori aziende farmaceutiche subiranno un impatto significativo, con i ricavi generati dai loro 5 principali farmaci destinati a diminuire fino al 62% entro il 2030.

Tuttavia, alcune aziende sembrano meglio posizionate per affrontare la tempesta. È il caso di Eli Lilly, osserva GlobalData, che dovrebbe aumentare i propri ricavi del 165% entro il 2030 grazie a farmaci innovativi come quelli per il diabete e la perdita di peso a base di tirzepatide, vedi Mounjaro e Zepbound.

Secondo George El-Helou di GlobalData, le aziende che investono in pipeline innovative, acquisizioni di biotech promettenti e aree terapeutiche ad alto bisogno non soddisfatto avranno maggiori chance di contenere le perdite.

TURBOLENZE NEL SETTORE BIOTECH

Parallelamente alla crisi brevettuale, il settore biotech – in particolare quello statunitense – sta vivendo un momento di forte instabilità. Come riportato dal Financial Times, le politiche dell’amministrazione Trump, tra cui il blocco dei finanziamenti federali a istituzioni accademiche come Harvard e la pressione per ridurre i prezzi dei farmaci, stanno generando incertezza e un netto calo della fiducia degli investitori.

Secondo Morgan Stanley, l’instabilità normativa ha comportato “profondi cambiamenti operativi” in molte aziende biopharma. Per Renaissance Capital, il clima di sfiducia ha congelato le IPO biotech, che nei primi sei mesi del 2025 sono crollate ai minimi dal 2012. Inoltre, per la prima volta dal 2011, nessuna società di venture capital ha portato una biotech in Borsa.

CASI EMBLEMATICI E CONSEGUENZE OCCUPAZIONALI

Il caso di Moderna, che ha visto le sue azioni perdere il 27% nel 2025 nonostante il ruolo centrale durante la pandemia, è rappresentativo di una crisi più ampia, afferma il FT. La società bluebird bio, valutata 10 miliardi nel 2018, è stata venduta nel 2025 per meno di 50 milioni di dollari. Vor Biopharma ha annunciato il licenziamento della maggior parte del personale, nonostante una raccolta fondi da 175 milioni con una biotech cinese.

Stando a Marian Nakada di Johnson & Johnson, sempre più aziende biotech stanno chiudendo del tutto. “Non ho mai visto questo volume di chiusure”, le ha fatto eco Dan Gold di Fairway Consulting Group.

IL PESO DELLA POLITICA E IL RUOLO DELLA FDA

Le tensioni politiche aggravano ulteriormente il quadro. La Fda è sotto pressione, anche per ritardi nelle approvazioni dovuti a carenze di personale e risorse. Dopo le dimissioni del funzionario Peter Marks, Verve Therapeutics ha riportato un crollo del proprio titolo e citato l’“ambiente normativo deteriorato” come ostacolo al fundraising.

Secondo il FT, il morale all’interno della Fda sarebbe basso, contrariamente a quanto dichiarato dal commissario Marty Makary durante la conferenza biotech di giugno, organizzata dalla Biotechnology Innovation Organization, che ha rafforzato le attività di lobbying assumendo l’ex senatore repubblicano Richard Burr.

L’attuale crisi apre tuttavia nuove possibilità di collaborazione tra Big Pharma e startup biotech su terapie di nuova generazione, piattaforme di somministrazione innovative e formulazioni differenziate. Per Hannah Hans di GlobalData, per esempio, è fondamentale che le aziende pianifichino in anticipo sia dal punto di vista regolatorio sia strategico, puntando su lifecycle management, ricerca e sviluppo, e innovazione terapeutica.

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