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Perché secondo l’Aifa Trump sbraita (giustamente) sui farmaci

Ecco come Robert Nisticò, presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), e Marcello Cattani, presidente di Farmindustria, hanno commentato gli annunci di Trump sui dazi relativi al settore e la richiesta alle aziende di ridurre drasticamente i prezzi negli Stati Uniti

 

Da una parte la minaccia di dazi, dall’altra l’obbligo per le aziende farmaceutiche di abbassare entro 30 giorni i prezzi dei farmaci per gli statunitensi. Su entrambe le questioni si sono espressi Robert Nisticò, presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), e Marcello Cattani, presidente di Farmindustria.

Ecco cosa hanno detto.

LA BENEDIZIONE ITALIANA DEL SSN (E DELL’AIFA)

“I più alti prezzi dei medicinali negli Stati Uniti, denunciati dal presidente Trump, sono il risultato di un sistema interamente privatizzato che contribuisce ad aumentare tutte le voci di spesa sanitaria”, ha detto ieri il numero uno dell’Aifa.

Come ha scritto anche Start, i farmaci da prescrizione negli Usa sono in media da due a quattro volte più costosi non solo perché il loro sistema sanitario è particolarmente complesso ma anche perché, a differenza della maggior parte dei Paesi – che negoziano direttamente con le aziende i prezzi dei farmaci -, gli Stati Uniti hanno limitate capacità di negoziazione diretta e si affidano a intermediari privati per trattare i prezzi all’interno dei piani assicurativi”.

“Al contrario – ha sottolineato Nisticò -, il nostro Servizio sanitario nazionale, anche grazie al lavoro dell’Aifa, riesce a ottenere per i farmaci prezzi tra i più favorevoli tra i Paesi Ocse”.

SPESA FARMACEUTICA IN CRESCITA ANCHE IN ITALIA

Tuttavia, il presidente dell’Aifa ha dovuto ammettere che non è possibile ignorare “che anche in Italia la spesa farmaceutica è in costante crescita”.

Secondo l’ultimo rapporto OsMed “L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto Nazionale Anno 2023”, pubblicato dall’Aifa e presentato lo scorso novembre, nel 2023, la spesa farmaceutica totale (pubblica e privata) in Italia è stata di 36,2 miliardi di euro, in crescita del 6,1% rispetto al 2022.

“È dunque necessario intervenire sulla governance – ha detto Nisticò -, individuando strumenti che consentano di premiare esclusivamente l’innovazione autentica, quella capace di dimostrare con dati reali un beneficio terapeutico concreto per i cittadini”.

I DATI SULLA SPESA FARMACEUTICA IN ITALIA

Dal rapporto OsMed emerge che la spesa pubblica, con un valore di 24,9 miliardi, ha rappresentato il 68,7% della spesa farmaceutica complessiva e il 19,0% della spesa sanitaria pubblica, in aumento del 5,7% rispetto al 2022.

La spesa farmaceutica territoriale complessiva (pubblica e privata) è stata pari a 23,6 miliardi di euro (+4,9% rispetto al 2022).

La spesa per i farmaci acquistati dalle strutture sanitarie pubbliche, invece, è stata di circa 16,2 miliardi di euro (+8,4% rispetto al 2022), con Campania e Abruzzo che sono risultate le Regioni con i valori di spesa più elevati.

Infine, la spesa a carico dei cittadini è stata pari a 10,6 miliardi di euro, con un aumento del 7,4% rispetto al 2022. Più di un miliardo di euro si riferisce alla compartecipazione da parte dei cittadini sul prezzo di riferimento dei farmaci a brevetto scaduto.

MALE RISPETTO ALLA MEDIA EUROPEA

Oltre a essere aumentata, la spesa farmaceutica totale italiana, comprensiva della spesa territoriale pubblica e privata e della spesa ospedaliera, con un valore di 612 euro pro capite, è anche al di sopra della media dei Paesi europei (384 euro). Tuttavia, risulta inferiore a quella della Germania (673 euro), dell’Austria (672 euro) e del Belgio (627 euro).

Inoltre, l’Italia evidenzia ancora una bassa incidenza della spesa per i farmaci equivalenti rispetto agli altri Paesi europei, mentre è al 1° posto nell’incidenza della spesa (80,8%) e del consumo (66,9%) di farmaci biosimilari rispetto a una media europea del 64,7% per la spesa e del 31,8% per i consumi e al 4° posto per la spesa dei farmaci orfani, con 51,0 euro pro capite.

DAZI E TAGLI DEI PREZZI FAVORISCONO SOLO LA CINA

Su annunci e iniziative di Trump è intervenuto anche il presidente di Farmindustria Cattani che, pur condividendo la libertà degli Stati Uniti di “inseguire le strade che ritiene più opportune”, ha preso le distanze dalle scelte del presidente Usa: “Noi non crediamo che né i dazi né la devalorizzazione dei farmaci siano la strada maestra per difendere ricerca, innovazione, sicurezza di ogni Paese, a partire dagli Stati Uniti, e sicurezza dei cittadini americani di fronte a possibili carenze di farmaci”.

Ma soprattutto Cattani è tornato su un concetto che aveva già espresso nelle scorse settimane: “Inoltre, dazi e devalorizzazione dei farmaci hanno un effetto immediato: rafforzare la posizione della Cina che è il Paese che sta galoppando su ricerca, innovazione e produzione industriale grazie a una strategia con obiettivi molto chiari”, ovvero “renderla forte nella ricerca e nello sviluppo di farmaci, farmaci biotecnologici cinesi, grazie a investimenti e rafforzamento della proprietà intellettuale”.

IL NODO PROPRIETÀ INTELLETTUALE

Anche sul rafforzamento della proprietà intellettuale Cattani ha ribadito la posizione dell’industria farmaceutica: “Apriamo gli occhi, quello che sta succedendo nel mondo dovrebbe essere uno stimolo forte all’Europa, una sveglia, affinché si agisca immediatamente nel rafforzare la proprietà intellettuale come chiediamo da tre anni. Il tempo è scaduto dobbiamo valorizzare i settori che danno maggior valor aggiunto al Paese e l’industria farmaceutica è il primo. Quindi calma e, come sempre, equilibrio rispetto alle politiche e alle dichiarazioni americane sui dazi”.

Infine, il presidente di Farmindustria ha motivato ancora una volta le ragioni dietro alla difesa della proprietà intellettuale: “Oltre 2 miliardi e mezzo di euro, una tassa sopra le tasse – ha detto intervenendo sul tema del Payback farmaceutico -. Il mio confronto è assistere a presidenti di regioni che festeggiano quando il Tar respinge dei ricorsi sui brevetti. Ma non c’è nulla da festeggiare soprattutto se le aziende saranno costrette a licenziare i dipendenti. Le tasse sono tasse e gli oneri accessori sulle imprese possono essere mortali in taluni casi. L’industria farmaceutica paga un conto salatissimo che frena ulteriormente la capacità di essere competitivi”.

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