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Ricerca Clinica Italia

Perché l’Italia rischia di rimanere fuori dalla ricerca clinica europea

Ieri l’allarme lanciato da Farmindustria, oggi dalla Federazione degli oncologi, cardiologi ed ematologi (Foce): “L’Italia rischia di perdere il nuovo treno della ricerca clinica che è già partito il 31 gennaio scorso”. Ecco perché e di cosa si tratta

 

“L’Italia rischia di perdere il nuovo treno della ricerca clinica che è già partito il 31 gennaio scorso, con l’entrata in vigore del Clinical Trial Information System (Ctis), il portale unico europeo per le sperimentazioni cliniche”.

Ieri, come scriveva Start, già Farmindustria avvertiva del rischio, oggi arriva la denuncia anche da parte della Federazione degli oncologi, cardiologi ed ematologi (Foce). Guido Rasi, ex executive director dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) e ora consulente del commissario Figliuolo per l’emergenza Covid-19, prevede che “per recuperare ci vorranno anni ed investimenti”.

COS’È IL CTIS

Il Ctis, ha ricordato Foce nel corso dell’evento online, è stato istituito dal Regolamento europeo 536 del 2014 e stabilisce regole uniformi per armonizzare il processo di valutazione e autorizzazione di uno studio clinico condotto in più Stati membri, in modo da attrarre quindi più risorse per la ricerca in Europa.

Il Regolamento, per usare le parole di Francesco Cognetti, presidente Foce, “segna un cambiamento epocale negli studi clinici, passando dalla gestione nazionale al coordinamento a livello europeo”.

“Un quadro regolatorio identico in ciascun Stato membro – ha detto Fabrizio Pane, tesoriere Foce – garantisce la conduzione degli studi clinici in una modalità univoca, con tempistiche definite e certe. Inoltre, rende più facile e veloce l’arruolamento dei pazienti e la chiusura degli studi”.

COSA (NON) HA FATTO L’ITALIA

Ma l’Italia, denunciano gli esperti, non si è ancora adeguata come richiesto dal Regolamento. “Sono trascorsi quasi otto anni dall’emanazione del Regolamento europeo, ma l’Italia – ha spiegato Cognetti – rischia di rimanere ferma in una fase di transizione di già un anno e sarà impossibile aggregarsi al resto del Continente”.

PERCHÉ SIAMO GIÀ FUORI DAI GIOCHI

Rasi ha spiegato che “durante il primo anno di validità del Regolamento, gli sponsor hanno l’opzione di decidere se sottomettere le nuove sperimentazioni seguendo gli standard precedenti o in accordo con quelli preparati”.

Dopo il 31 gennaio 2023, tutte le sperimentazioni possono essere sottomesse secondo i nuovi standard e gli studi ancora in corso passare ai nuovi criteri non più tardi del 31 gennaio 2025 ma, avverte Rasi, “la competizione è già iniziata da tre settimane e noi ne siamo fuori; altri Stati europei sono in realtà pronti da anni, con la precisa strategia di utenti europei degli studi che i Paesi in ritardo organizzativo non potranno svolgere”.

COSA PERDIAMO

“In questo modo – ha chiarito Cognetti – perdiamo i vantaggi che derivano da sperimentazioni che vedono escluso il Paese e che prevede un arruolamento e una valutazione centralizzata identica per tutti i Paesi membri. Se il nostro Paese, come auspicato più volte dal presidente del Consiglio Mario Draghi, vuole ritrovare una competitività internazionale deve inserire la ricerca scientifica come priorità massima nell’agenda governativa”.

La ricerca clinica, infatti ha ricordato anche Paolo Corradini, vicepresidente Foce e presidente della Società italiana di ematologia, “è un motore di sviluppo economico e sociale, che può offrire un contributo importante al recupero dell’attuale crisi sanitaria. Vi sono poi ricadute positive per i fornitori di servizi e sull’occupazione, grazie all’impiego di profili professionali di elevata specializzazione. Senza dimenticare i grandi vantaggi per i pazienti, che accedono a terapie innovative anche alcuni anni prima della rimborsabilità”.

LO STATO DELL’ARTE

Nel 2019, in base agli ultimi dati disponibili, il presidente di Foce ha riferito che in Italia “sono state autorizzate 672 sperimentazioni, 516 profit e 156 no profit e i due terzi interessano complessivamente le neoplasie, le malattie ematologiche e cardiovascolari, che tra l’altro producono di nuovo i due terzi della mortalità annuale nel nostro Paese”.

Nel nostro Paese, fanno sapere dalla Federazione, “gli investimenti complessivi, pubblici e privati, in questo settore equivalgono a oltre 750 milioni di euro all’anno, di cui il 92% proveniente da finanziamenti di aziende farmaceutiche per studi profit”.

LA PREVISIONE DI RASI

“L’Italia è in forte ritardo e deve recuperare in fretta il terreno perduto perché ricerca e innovazione portano miglioramenti della qualità dell’assistenza”, è stato il commento di Rasi, il quale ha previsto che “per recuperare ci vorranno anni ed investimenti”, mentre “essere stati pronti ora sarebbe stato a costo zero”.

“L’intero ‘Sistema Paese’ – ha aggiunto – rischia di restare ai margini in termini di finanziamenti, respiro internazionale e collaborazione con i grandi centri”.

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