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G7 Salute

Perché il G7 Salute vuole aggredire gli antibiotici

L'approfondimento di Enrico Martial sulle conclusioni del G7 Salute

 

Il G7 Salute che si è tenuto a Oxford, nel Regno Unito, il 3 e 4 giugno, presente il nostro ministro Roberto Speranza, non ha soltanto parlato dei vaccini anti-covid, ma anche di unità della salute — animale, umana, ambientale, cioè One Health — di digitale in sanità, di ricerca, e di resistenza agli antibiotici. Quest’ultimo tema ritorna da anni, ed è considerato un super-problema, una “pandemia strisciante” che richiede uno sforzo costoso, complicato e difficile, al pari delle maggiori grane contemporanee, dal cambiamento climatico al rischio nucleare, dall’espansione demografica alla diffusione di nuove epidemie.

Le conclusioni sottolineano l’effetto di amplificazione determinato dal Covid, che ha indotto a un maggiore uso degli antibiotici e comunque accentuato l’effetto dell’antibiotico-resistenza nello sforzo di contrastare la pandemia, quando altri medicinali sono spesso stati carenti. Sono poi evocati la ricerca di nuovi medicinali, il recupero di altri meno interessanti per il mercato, gli sforzi collettivi per affrontare il tema, dalla riduzione delle infezioni agli investimenti richiesti.

Secondo l’Ocse, i morti su scala globale sono 700mila all’anno, ma il punto è che la resistenza agli antibiotici sta aumentando, con stime che prevedono quasi 10 milioni di decessi nel 2050. Poi c’è la questione dei costi: in Europa e Nord America, che registrano circa 50mila morti all’anno, i trattamenti che cercano di eludere questa resistenza variano tra i 10mila e i 40mila euro a paziente, con un maggiore esborso di 23 miliardi di dollari. Nel 2050, l’impatto sul Pil del gruppo dei Paesi Ocse potrebbe raggiungere i 2,9mila miliardi di dollari., da capogiro.

Così, il 26 maggio, prima del G7, la commissaria europea per la Salute e la protezione dei consumatori, Stella Kyriakides e il direttore generale dell’Oms, Tedros Ghebreyesus, hanno presentato una lettera comune in cui riportano il tema all’attenzione globale. L’Europa si era mossa sul tema dal 1998 con un sistema di sorveglianza e dal 2001 con una strategia contro l’antibiotico-resistenza. All’Onu, 193 Paesi hanno firmato una dichiarazione nel 2016, e sono nate diverse partnership, dalla AMR Industry Alliance, con un centinaio di imprese biotech e laboratori alla CARB-X con gli acceleratori, all’Innovative Medicines Initiative (Imi) europea con 650 milioni di euro, ad altre strutture complesse, come GARDP e BARDA. Nel 2019 in seno alle Nazioni Unite si è creato un Global Group di coordinamento.

Il punto per l’Europa è legislativo. Con la Commissione guidata da Ursula von der Leyen, la salute, anche se rimane formalmente e in parte sostanziale una politica nazionale, è stata prima presa in carico a livello europeo con i temi scritti nella lettera di missione del 2019 alla commissaria Stella Kyriakides (lotta al cancro, antibiotico-resistenza, malattie rare) per prendere poi forza comune con la pandemia.

Per quanto riguarda l’ambito sanitario, per restare in Italia, va letta in questa prospettiva per esempio la misura 2.2 del Pnrr, il Piano di rilancio e resilienza, intesa tra l’altro a ridurre il rischio di contrarre infezioni durante un ricovero ospedaliero, stimato nel 2016 nella misura dell’8%. L’Italia, che ha adottato una sua strategia nel 2017,  è un Paese ben esposto all’antibiotico-resistenza: nel 2015, erano stimati 10.700 decessi, un terzo dei 33mila registrati in Europa, secondo la rivista Lancet.

Tuttavia, poiché l’antibiotico-resistenza viene inquadrata nella strategia One-Health, che unisce medicina, veterinaria e ambiente, le misure europee sono volte anche alla gestione e contenimento dell’uso degli antibiotici nel trattamento degli animali. D’altra parte, il 70% degli antibiotici su scala globale sono utilizzati nell’allevamento, con una stima di crescita senza interventi del 67% tra il 2010 e il 2030, secondo le Nazioni Unite.

La strategia politico-legislativa europea “dalla fattoria alla forchetta (Farm to Fork)” prevede di ridurre la vendita di antibiotici agli allevamenti e all’acquacoltura del 50% entro il 2030 e di introdurre meccanismi di gestione con i nuovi regolamenti sulla medicina veterinaria (n.6/2019) e sui mangimi medicati (Medicated Feed, n.4/2019). Con gli atti delegati attualmente in discussione, l’attuazione partirà da gennaio 2022.

In particolare, viene vietato l’uso sistematico degli antibiotici negli allevamenti, per supplire a carenze igieniche o per aumentare la produttività, ammettendoli soltanto per il singolo animale, per un rischio concreto di diffusione dell’infezione e perché non ci sono alternative adeguate. L’adattamento produttivo e l’impatto economico delle misure sarà orientato in Europa dalla Politica agricola comune, che tiene ormai conto del Green Deal, della salute e della biodiversità, a partire da regole intermedie per il 2021 e il 2022 per poi passare a regime al nuovo sistema.

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