Quasi tutti i programmi elettorali sulla scuola sono finzioni, liste di promesse senza soluzioni, dall’adeguamento europeo degli stipendi degli insegnanti al superamento del precariato, dalla diminuzione del numero degli alunni per classe al maggior numero di docenti di sostegno, dai maggiori investimenti nell’istruzione al rilancio dell’edilizia scolastica, da più tempo a scuola al superamento dell’abbandono scolastico e della dispersione ecc. e la questione che mi allarma maggiormente è la rilevazione di un preoccupante elemento comune: la scomparsa dell’autonomia scolastica.
Per i nuovi ITS si apre una stagione nuova ma bisognerà pure arrivarci a un diploma per poi proseguire. L’assetto dell’istruzione che emerge dal PNRR e dalle Linee Programmatiche del Ministero dell’Istruzione (MI) è una forte centralizzazione, dal cui orizzonte scompaiono addirittura le Regioni. Investimenti e riforme passano tutte attraverso il MI e il Ministero dell’Università e Ricerca (MUR), dove le Regioni non sono mai nominate.
Se è comprensibile che la straordinarietà del PNRR e la inderogabile necessità di realizzare gli obiettivi indicati, pena la perdita dei finanziamenti, possano indurre a forme di centralizzazione, rimane assolutamente incomprensibile come si possa, stante l’attuale Costituzione, ignorare totalmente le Regioni, che hanno competenza esclusiva sull’Istruzione e Formazione Professionale, così come hanno precise competenze sugli asili nido, solo per citare due voci fondamentali nel PNRR per l’istruzione.
Ugualmente la centralizzazione non risparmia l’autonomia scolastica, ignorata dal PNRR, appena citata nelle Linee Programmatiche del MI nel capitoletto “Rivitalizzare l’autonomia scolastica nell’unità del sistema nazionale” con queste parole: ”È necessario rilanciare l’autonomia scolastica, senza però incidere sull’unità del sistema nazionale di istruzione”.
Ma nel senso che ad essere rivitalizzato è soprattutto il Ministero, che programma e gestisce attraverso le proprie “cinghie di trasmissione”, gli USR, come è letteralmente scritto e dunque sono preoccupata a questa sottovalutazione dell’autonomia scolastica.
È noto, infatti, che qualsiasi tentativo di rilanciare l’educazione, di personalizzare l’apprendimento, di tessere attivi collegamenti con la comunità locale e globale, di attribuire agli studenti il potere di scelta e la responsabilità di gestire il proprio apprendimento, si imbatte nelle rigidità del curricolo, dell’organizzazione delle discipline, dell’orario, del calendario, dell’organico dei docenti, ecc.
Gli scenari che si aprono nei prossimi 20 anni ci dicono che guarderemo con incredulità alle rigidità dell’attuale organizzazione scolastica, che la pandemia del Covid-19 ha già messo in discussione, superando il luogo fisico del fare scuola. E allora occorre tentare un’altra strada: intervenire sui bisogni dell’educazione anziché sull’inossidabile ”grammatica” della scuola, fatta di regole e miti, e immaginare un’organizzazione dell’istruzione che sappia dare risposta a quei bisogni.
Questo significa prefigurare un’autonomia autentica, libera dai vincoli in cui è stata finora costretta. Un’operazione questa che deve essere accompagnata dalla lucida consapevolezza che non ci sarà da subito la possibilità di rilanciare in tutte le scuole una tale autonomia.
Così, mentre si deve cercare di rimuovere da tutto il sistema alcuni ostacoli, peraltro in contrasto con la Costituzione e il Regolamento stesso dell’autonomia, diventa necessario sperimentare situazioni di autonomia avanzata laddove ci siano idee e volontà di innovazione, spezzando in qualche punto quel circolo vizioso che si è instaurato nelle scuole fra negazione dei diritti e offuscamento dei doveri.
È interessante per la costituzione di Istituti Scolastici ad Autonomia Speciale, ISAS, che si sono ispirati alle Academies inglesi. Si tratta di autonomia speciale perché l’iniziativa di dar vita a questa autonomia avanzata sarà dello stesso Istituto Scolastico o di altri soggetti. Dipende dalla passione e dalla capacità di una parte almeno del corpo professionale, del corpo sociale, delle istituzioni, degli interessati di farsi avanti.
Gli ISAS non sono solo legati alla volontarietà, esistono infatti situazioni che, per evolvere, necessitano di un nuovo autonomo assetto organizzativo, ci si riferisce ad esempio ai nuovi istituti quadriennali, o a un nuova combinazione di istruzione professionale statale e istruzione e formazione professionale regionale, oppure ancora al recupero di situazioni di degrado dove altissimo è l’abbandono scolastico, tutte situazioni che necessitano di interventi radicali.
L’auspicio è che, fra le riforme che devono accompagnare e sostenere il PNRR, ci sia anche questa riforma, o qualcosa a essa simile, che dia vita ad Istituti Scolastici ad Autonomia Speciale o comunque fortemente avanzata che aiuterebbero anche gli ITS che potenziano, ampliano e assicurano (“con continuità”) la formazione di tecnici superiori con elevate competenze tecnologiche e tecnico-professionali, con priorità sui fabbisogni formativi relativi alla transizione digitale (anche ai fini dell’espansione dei servizi digitali negli ambiti dell’identità, dell’autenticazione, della sanità e della giustizia), all’innovazione, alla competitività e alla cultura, alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica nonché alle infrastrutture per la mobilità sostenibile.
Questo per sostenere il sistema produttivo, colmando progressivamente il divario tra domanda e offerta di lavoro.
Inoltre (oltre il primo periodo di attuazione) ai nuovi ITS si affidano più ampie funzioni di sostegno alla diffusione della cultura scientifica e tecnologica, di orientamento permanente dei giovani, di aggiornamento e formazione in servizio dei docenti di discipline scientifiche, tecnologiche e tecnico-professionali della scuola e della formazione professionale che potranno essere ulteriormente articolate in profili regionali, saranno definite nell’ambito di un decreto adottato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
L’attenzione sulla continuità e progressione delle componenti formative di filiera lunga, sulla permeabilità tra i segmenti di offerta, sulla relazione tra standard nazionali e offerta locale, e sulla rispondenza ai fabbisogni di competenze legati ai settori produttivi strategici e alle risorse chiave del soggetto. L’obiettivo è quello di declinare un modello, pronto ad accogliere le evoluzioni di sistema, di lettura trasversale delle figure e delle competenze relative ai diversi segmenti formativi di filiera lunga, e dell’incrocio domanda-offerta di competenze, mantenendo il focus su alcuni nodi di criticità, che potrebbero perpetuarsi anche a fronte degli avanzamenti negli assetti delle singole componenti, se parziali e disgiunti.