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App Lavoro

Le app di lavoro ci stanno friggendo il cervello

Cambiamo tab di lavoro 1.200 volte al giorno, ovvero circa 4 ore alla settimana. Trascorriamo quasi più tempo a passare da un’app all’altra e da un sito all’altro che a lavorare e questo ci stressa oltre che ad andare a scapito della produttività. Ecco cosa succede al nostro cervello

 

Altro che settimana corta! Secondo un recente studio, i lavoratori dipendenti impiegano circa 4 ore a settimana solo per passare da un’app all’altra come richiesto dai propri datori di lavoro.

Applicazioni su applicazioni che mettono a dura prova con un bombardamento continuo di notifiche (spesso difficilmente disattivabili), liste infinite di password e protocolli ineludibili. Un sovraccarico tecnologico che spesso non aggiunge veramente alcun valore al lavoro, ma anzi lo appesantisce, finendo per esaurire tempo, efficienza e impegno dei dipendenti.

I NUMERI DELL’INTOSSICAZIONE DA APP

Zoom, Teams, Google Chat, tanti nomi per un solo problema. A testimoniare l’eccessiva richiesta di utilizzo di app è stata un’analisi citata da Bloomberg e condotta da Okta, una società di software per il cloud. Secondo le informazioni raccolte, l’anno scorso le aziende hanno distribuito in media 89 app diverse, rispetto alle 58 del 2015. E nelle società più grandi questa cifra è arrivata a 187.

Inoltre, stando a un sondaggio condotto da WalkMe, un fornitore di software aziendale, quasi il 30% di queste applicazioni è duplicato o non aggiunge alcun valore.

Sebbene, infatti, molte aziende possano considerare questo fenomeno come il costo dell’attività in un ambiente digitale, più spesso si tratta di una scelta attiva che le aziende e i manager fanno sul modo in cui viene svolto il lavoro e sui programmi utilizzati per farlo.

TEMPO ED ENERGIE SPRECATE

Un altro studio, condotto su 20 team di tre grandi datori di lavoro e pubblicato sulla Harvard Business Review, ha rilevato che i lavoratori passano da un’applicazione all’altra e da un sito all’altro 1.200 volte al giorno, ovvero circa il 9% dell’anno lavorativo: “poco meno di 4 ore alla settimana, o circa 5 settimane all’anno, trascorse a premere il tasto Alt-Tab [scorciatoia da tastiera presente in Microsoft Windows che consente di passare tra le finestre a livello di applicazione senza utilizzare il mouse, ndr]”, osserva Bloomberg.

“In pratica, il modo in cui lavoriamo è esso stesso una distrazione. Per tutto il giorno passiamo ripetutamente da un’applicazione all’altra”, ha dichiarato Rohan Narayana Murty, che oltre ad aver condotto lo studio è fondatore e Cto di Soroco, un’azienda indiana che utilizza l’apprendimento automatico per mappare il modo in cui il lavoro viene svolto.

LE CONSEGUENZE SULLA SALUTE

I ricercatori hanno soprannominato questo fenomeno “toggling tax” (ovvero una tassa che impone di passare da una tab all’altra). Gli psicologi, invece, lo definiscono “context switching”, un’abitudine che rende difficile concentrarsi e che, a lungo andare, ci stressa.

Sempre secondo l’indagine di WalkMe, la frustrazione per la tecnologia nelle grandi aziende ha spinto in media 76 dipendenti a mollare il lavoro l’anno scorso. Come ha osservato Scott Fingerhut, dirigente del settore marketing della Silicon Valley: “La cosa difficile è che la maggior parte delle persone non se ne accorge. Non ti arriva una notifica per il burnout (esaurimento)”.

Ma come ha raccontato a Bloomberg una parrucchiera di una catena di saloni a New York, il sovraccarico di app non riguarda solo alcuni settori e nessuno può dirsi al riparo. Nel suo caso, per esempio, l’azienda per cui lavora utilizza un’app per fissare gli appuntamenti, un’altra per le parrucchiere per chattare con il personale dell’ufficio, e una terza per le buste paga e le richieste di ferie.

COSA SUCCEDE AL NOSTRO CERVELLO

Quando mettiamo in atto il context switching, spiega il blog Mio Dispatch, attiviamo quella che alcuni scienziati chiamano “memoria di lavoro”, questo accade nel momento in cui chiediamo al nostro cervello di richiamare diverse informazioni.

Quindi se la sovraccarichiamo perdiamo la concentrazione sulla prima informazione e il nostro cervello cerca di recuperare quello che stiamo cercando di ottenere nella seconda. Risultato? Il nostro cervello si frigge o, per dirlo scientificamente, si affatica. E quando il cervello si affatica, tutto il corpo si affatica, perché è lui che ha il potere di dire al resto del nostro corpo cosa fare.

ESSERE MULTITASKING NON È SEMPRE POSITIVO

Come ricorda il blog, il termine multitasking, ovvero la capacità di svolgere più compiti contemporaneamente, è stato inventato da HP nel 1965 con un fine informatico. Il multitasking, dunque, non è qualcosa che gli esseri umani – a differenza di alcune macchine – sono costruiti per fare bene.

Si stima, infatti, che il cervello umano sia in grado di elaborare circa 60 bit al secondo. Informazione che, se applicata a una giornata di lavoro con continue interruzioni, cambi di attività e introduzione di contesti, vuol dire che il cervello impiega in media 9,5 minuti per adattarsi completamente a un nuovo contesto quando si passa da un’app all’altra.

Quindi, osserva l’autore, ogni volta che pensiamo di essere produttivi scrivendo un’e-mail, rispondendo a un ticket e aggiornando i nostri archivi allo stesso tempo, molto probabilmente non lo siamo. Per ridurre il context switching, essere più produttivi e farci del bene concediamo quindi al nostro cervello di concentrarsi su un unico singolo compito.

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