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intestino alzheimer

L’Alzheimer parte (anche) dall’intestino

Uno studio, a guida italiana, ha scoperto il legame tra intestino e cervello nell'Alzheimer grazie a una tecnica innovativa che utilizza i raggi X.

 

Un team di ricerca internazionale, guidato dall’Istituto di Nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Nanotec) sede secondaria di Roma, ha fatto luce sul collegamento tra intestino e cervello nella malattia di Alzheimer utilizzando tecniche avanzate di imaging a raggi X.

Lo studio è stato pubblicato su Science Advances e fornisce nuove informazioni sui meccanismi che collegano le alterazioni intestinali al loro potenziale ruolo nell’insorgenza della patologia.

IL TEAM DI RICERCA

Oltre al Cnr-Nanotec hanno collaborato alla ricerca l’European Synchrotron Radiation Facility (ESRF) di Grenoble e l’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano.

LA TECNICA

Per osservare dettagliatamente le alterazioni strutturali e morfologiche provocate dalla malattia di Alzheimer nell’intestino di modelli animali è stata utilizzata la nano- e micro-tomografia a raggi X a contrasto di fase (XPCT).

Come spiegato dagli autori della ricerca, questa tecnica innovativa, disponibile presso la facility di Grenoble, ha permesso di ottenere immagini tridimensionali dell’intestino con una risoluzione e una qualità senza precedenti: la nitidezza ottenuta ha rivelato dettagli morfologici mai osservati prima, portando alla luce alterazioni a livello cellulare e strutturale nell’intestino in presenza di Alzheimer.

IL LEGAME TRA INTESTINO E ALZHEIMER

La scoperta è significativa in quanto evidenzia per la prima volta un legame diretto tra questa malattia neurodegenerativa e specifiche modifiche morfologiche e cellulari a livello intestinale.

“La ricerca si concentra sull’asse intestino-cervello, un sistema di comunicazione bidirezionale tra questi due organi”, ha spiegato Alessia Cedola ricercatrice Cnr-Nanotec e corresponding author del lavoro.

“Recenti studi hanno evidenziato come la disfunzione di questo asse possa essere collegata a disturbi neurologici, incluso l’Alzheimer. Il microbiota intestinale, l’insieme dei microrganismi presenti nell’intestino, gioca un ruolo cruciale in questo processo. La disbiosi, uno squilibrio nella composizione microbica, può portare alla produzione di metaboliti tossici che promuovono l’infiammazione e compromettono le barriere tra intestino e cervello”, ha aggiunto la ricercatrice Francesca Palermo del Cnr-Nanotec, sottolineando l’importanza di questa tecnica per la diagnosi precoce e la prognosi della patologia.

LO STUDIO PROSEGUE

Il team di ricerca sta ora approfondendo ulteriormente lo studio del sistema nervoso enterico e il suo ruolo nella malattia, con l’obiettivo di identificare nuovi bersagli terapeutici.

NUMERI E ALTRE SCOPERTE SULL’ALZHEIMER

La malattia di Alzheimer, essendo una patologia neurodegenerativa debilitante che colpisce più di 55 milioni di persone in tutto il mondo, è una delle principali sfide per la salute pubblica. Stando infatti ad Alzheimer’s disease international, nel mondo si sviluppa una demenza ogni 3 secondi ci si attende che il numero di persone colpite raddoppierà quasi ogni 20 anni, raggiungendo 78 milioni nel 2030 e 139 milioni nel 2050.

Gran parte dell’aumento avverrà nei Paesi in via di sviluppo. Già oggi il 60% delle persone affette da demenza vive in Paesi a basso e medio reddito, ma entro il 2050 la percentuale salirà al 71%. La crescita più rapida della popolazione anziana si sta verificando in Cina, India e nei Paesi vicini dell’Asia meridionale e del Pacifico occidentale.

Ecco perché, date anche le poche certezze che si hanno sulla sua eziologia, sono numerosi gli studi dedicati.

Uno degli ultimi, condotto dalla Lancaster University e pubblicato su Brain Communications, ipotizza che la malattia possa essere anche il risultato di un’insufficiente ossigenazione del cervello attraverso i vasi sanguigni e una ricerca apparsa sulla rivista Nature Medicine ha notato invece che anche un’infezione da Covid-19 lieve può alterare le proteine cerebrali legate alla malattia di Alzheimer, aumentando potenzialmente il rischio di demenza.

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