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Stimolazione Elettrica Ictus

La stimolazione elettrica del midollo spinale per curare la paralisi da ictus

Al momento non esistono trattamenti efficaci per curare alcune paralisi conseguenti a un ictus, ma uno studio americano, a cui hanno partecipato anche due italiani, spiega come sia stato possibile per due donne recuperare l’uso del braccio e della mano grazie alla stimolazione elettrica del midollo spinale. Tutti i dettagli

 

Non muovevano più il braccio e la mano in seguito a un ictus, ma grazie alla stimolazione elettrica del midollo spinale (una tecnologia già utilizzata per trattare il dolore cronico) due donne di 31 e 47 anni ne hanno in parte recuperato l’uso.

Sono le prime due pazienti a sperimentare questa tecnica per curare la paralisi nella cosiddetta “fase cronica dell’ictus”, che inizia circa sei mesi dopo l’evento e per cui attualmente non esistono trattamenti efficaci.

Lo studio, che spiega come agisce questa nuova possibilità terapeutica, è stato pubblicato su Nature Medicine. Dietro c’è un gruppo di ricercatori dalle università americane di Pittsburgh, Carnegie Mellon e della University Pittsburgh Medical Center (UPMC). Tra i coordinatori anche due italiani che lavorano all’Università di Pittsburgh: Marco Capogrosso ed Elvira Pirondini, entrambi ex allievi del professor Silvestro Micera, docente all’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

COME AGISCE LA STIMOLAZIONE ELETTRICA DEL MIDOLLO SPINALE

Come spiegato dai ricercatori, alle due pazienti sono stati impiantati al livello del collo un paio di elettrodi che forniscono impulsi per attivare le cellule nervose all’interno del midollo spinale. Così facendo, è possibile amplificare e rafforzare l’attività dei muscoli indeboliti dall’ictus, lasciando comunque al paziente il pieno controllo del movimento, che avviene solo quando lo decide lui.

I RISULTATI

Dopo anni di studi svolti su modelli al computer e scimmie, grazie alla stimolazione elettrica del midollo spinale, le due donne colpite da ictus sono riuscite ad aprire e chiudere completamente il pugno, afferrare oggetti, usare di nuovo forchetta e coltello, sollevare il braccio sopra la testa o utilizzare le mani, riacquisendo la mobilità degli arti superiori e delle zone periferiche e riducendo la propria invalidità.

In generale, le pazienti hanno recuperato l’uso del braccio e parzialmente anche della mano. Inoltre, gli effetti della stimolazione sembrano durare nel tempo più a lungo di quanto gli scienziati avessero inizialmente pensato e persistono anche dopo la rimozione del dispositivo, il che lo renderebbe utile sia come metodo di assistenza che di recupero dell’arto superiore.

“Quel che non ci aspettavamo – ha detto Capogrosso – è che i miglioramenti permanessero anche dopo aver tolto gli elettrodi. Non sappiamo perché questo avvenga, ma è molto affascinante. È come se il cervello in qualche modo abbia raccolto e integrato al suo interno i segnali artificiali introdotti dall’esterno”.

COME PROCEDE LA SPERIMENTAZIONE

“Questo è stato un primo studio pilota che abbiamo dovuto interrompere dopo 4 settimane – hanno spiegato i due ricercatori italiani – ma speriamo di arrivare ad un uso clinico di questa tecnologia in 5-10 anni”.

Allo studio pilota che coinvolgerà 8 pazienti, secondo quando riferito da Capogrosso e Pirondini, seguirà una seconda fase della durata di 12-24 mesi su 20 persone che avranno lo stimolatore elettrico impiantato. Se tutto andrà bene, il trial clinico finale avrà coinvolto probabilmente fino a 200 soggetti.

PERCHÉ È RIVOLUZIONARIO

Oltre a non esserci al momento trattamenti efficaci per curare la paralisi della “fase cronica dell’ictus”, Capogrosso ha sottolineato che la novità sta nel fatto che “fino a oggi, l’ictus è sempre stato considerato come una malattia del cervello, quindi la stimolazione elettrica ha sempre riguardato il cervello”.

La loro impostazione, invece, è radicalmente diversa: “La paralisi indotta dall’ictus taglia le connessioni tra corteccia cerebrale e midollo spinale, noi cerchiamo di massimizzare lo sfruttamento di questo segnale”.

Anche Micera, che ha lavorato insieme a Capogrosso e Pirondini in studi che hanno permesso, a scimmie prima e a esseri umani poi, di tornare a camminare, ha detto: “Si tratta di un esperimento molto interessante dal punto di vista delle potenzialità cliniche e che vede soluzioni bio-ingegneristiche molto raffinate. Con questo studio sono passati dalle lesioni del midollo spinale ai danni al sistema nervoso centrale causati da un ictus quindi dagli arti inferiori a quelli superiori”.

I DATI SUGLI ICTUS E I SUOI EFFETTI

In Italia l’ictus è la seconda causa di morte, dopo le malattie ischemiche del cuore, è responsabile del 9-10% di tutti i decessi e rappresenta la prima causa di invalidità. Ad affermarlo è il ministero della Salute.

Ogni anno nel nostro Paese si registrano circa 90.000 ricoveri dovuti all’ictus cerebrale, di cui il 20% sono recidive. Il 20-30% delle persone colpite da ictus cerebrale muore entro un mese dall’evento e il 40-50% entro il primo anno.

Solo il 25% dei pazienti sopravvissuti a un ictus guarisce completamente, il 75% sopravvive con una qualche forma di disabilità, e di questi la metà è portatore di un deficit così grave da perdere l’autosufficienza, motivo per cui questa tecnologia potrebbe cambiare la vita di molte persone.

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