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Fake News Sanità

La sanità pubblica italiana è sempre più privata?

Ecco cosa dice l’ultimo annuario statistico del Servizio sanitario nazionale (Ssn) italiano su strutture sanitarie pubbliche e private accreditate. Tutti i dettagli

 

Nel 2021 l’assistenza ospedaliera si è avvalsa di 995 istituti di cura, di cui il 51,4% pubblici e il rimanente 48,6% privati accreditati. È uno dei dati, relativi al 2021, che emerge dall’ultima edizione dell’Annuario statistico del Servizio sanitario nazionale (Ssn), realizzato dall’Ufficio di statistica del ministero della Salute e che si sofferma anche sull’entità dell’offerta delle strutture sanitarie private accreditate, ovvero rimborsate con il denaro pubblico.

I DATI SULLE STRUTTURE SANITARIE PRIVATE ACCREDITATE

Dall’Annuario statistico del Ssn emerge che nel 2021 le strutture sanitarie private accreditate erano:

  • il 48,6% delle strutture ospedaliere (n. 995);
  • il 60,4% di quelle di specialistica ambulatoriale (n. 8.778);
  • l’84% di quelle deputate all’assistenza residenziale (n.7.984) e il 71,3% di quelle semiresidenziali (n. 3.005), ovvero le due tipologie di RSA;
  • il 78,2% di quelle riabilitative (n. 1.154)

A proposito dei posti letto, il report afferma che il Ssn ne ha a disposizione oltre 214 mila per degenza ordinaria, di cui il 20,5% nelle strutture private accreditate.

Fonte: Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale – 2021

UN SSN IN CODICE ROSSO

Per Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, si tratta di una situazione da “codice rosso” per il Ssn, che da anni affronta svariate “malattie” come “imponente sotto-finanziamento, carenza di personale per assenza di investimenti, mancata programmazione e crescente demotivazione, incapacità di ridurre le diseguaglianze, modelli organizzativi obsoleti e inesorabile avanzata del privato”.

Tutto questo si ripercuote sui pazienti che troppo spesso sono costretti “ad attese infinite, migrazione sanitaria, spese ingenti, sino alla rinuncia alle cure”.

Basti pensare che secondo l’Istat la quota di persone che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie è passata dal 6,3% nel 2019 al 9,6% nel 2020, e fino all’11,1% nel 2021. E se nel 2022 le stime attestano un recupero (7%), l’ostacolo principale rimangono le lunghe liste di attesa (4,2%) seguito dalle rinunce per motivi economici (3,2%).

FONDI SANITARI E ASSICURAZIONI, UNO SPECCHIETTO PER LE ALLODOLE

Non solo. Secondo Cartabellotta c’è anche “un vero e proprio ‘cavallo di Troia’ che erode risorse pubbliche dirottandole ai privati: il connubio tra fondi sanitari e assicurazioni, sostenuto dalle politiche del welfare aziendale”.

I fondi sanitari, che godono di consistenti agevolazioni fiscali, ricorda Gimbe, erano nati per integrare le prestazioni non offerte dal Ssn (per esempio, odontoiatria, long term care), ma di fatto per circa il 70% erogano prestazioni già incluse nei Livelli essenziali di assistenza (LEA) tramite la sanità privata accreditata.

E siccome le assicurazioni sono divenute veri e propri gestori dei fondi sanitari, puntualizza Cartabellotta “i presunti vantaggi del welfare aziendale per i lavoratori iscritti ai fondi sono una mera illusione, perché il 40-50% dei premi versati non si traducono in servizi in quanto erosi da costi amministrativi e utili delle compagnie assicurative”.

Alla fine, quindi, chiarisce il presidente della Fondazione, “i beneficiari delle risorse pubbliche provenienti dalla defiscalizzazione dei fondi sanitari sono le assicurazioni che generano profitti, la sanità privata che aumenta le prestazioni erogate e le imprese che risparmiano sul costo del lavoro”.

CHI PUÒ SI CURE A PROPRIE SPESE

Infine, l’Istat osserva anche che, nel 2021, la spesa sanitaria in Italia ha raggiunto i 168 miliardi di euro, di cui 127 miliardi di spesa pubblica (75,6%), 36,5 miliardi (21,8%) a carico delle famiglie e 4,5 miliardi (2,7%) sostenuti da fondi sanitari e assicurazioni.

Secondo il recente Rapporto CREA Sanità, citato da Gimbe, nel 2021 la spesa privata è in media 1.734 euro per nucleo familiare, ovvero il 5,7% dei consumi totali. E nel 2020 oltre 600 mila famiglie hanno dovuto sostenere spese “catastrofiche”, ovvero insostenibili rispetto ai budget, e quasi 380 mila famiglie si sono impoverite per le spese sanitarie, in particolare nelle Regioni meridionali.

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