Entro la fine di marzo dovrebbe essere vaccinato l’80% della popolazione over 80 e del personale sociosanitario. A chiederlo è una comunicazione della Commissione Europea del 19 gennaio 2021 scorso.
L’Italia come sta rispetto a questo obiettivo? Molto male è la risposta di uno studio dell’Ispi curato dall’analista Matteo Villa, secondo il quale riusciremo a raggiungere il target europeo non prima del 5 luglio prossimo.
L’#Italia è tra gli ultimi paesi dell’#UE per #vaccinazioni anti-#Covid agli ultraottantenni.
Quali le conseguenza della scelta del nostro paese di concentrare le vaccinazioni sul personale sanitario?
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— ISPI (@ispionline) February 20, 2021
L’Italia ha adottato una strategia vaccinale quasi unica in Europa che prevede di vaccinare in prima battuta gli operatori sanitari, alcuni anche abbastanza giovani, e solo dopo gli ultraottantenni, più esposti a conseguenze molto negative della malattia.
Tra l’altro la campagna vaccinale degli over 80 è partita da un paio di settimane ma non segue lo stesso ritmo su tutto il territorio nazionale. In Puglia, per esempio, le vaccinazioni sono iniziate solo oggi.
La strategia italiana: prima i baby boomers e poi gli anziani
Il punto, sostiene la ricerca dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), è che, proprio in ragione della scarsità di dosi, sarebbe necessario vaccinare prima chi più rischia dall’eventuale infezione da Covid-19. Al momento, stando ai dati forniti dal report del Governo, sui 3.537.975 di dosi somministrate solo 547.62 sono state iniettate a over 80.
Il maggior numero di vaccinati si trovano tra i nati negli anni ’60, 830.243 persone tra i 50 e i 50 anni, seguono gli over 40 con 646.935, poco dietro i trentenni con 514.827 persone vaccinate.
La letalità del virus, cioè la possibilità che un’infezione da Covid-19 porti alla morte, cresce esponenzialmente con l’aumentare dell’età dell’ospite del Sars-Cov2. Per questo la strategia migliore è quella di vaccinare le classi d’età più avanzate, per poi scendere.
La scarsità di dosi non può essere un alibi
La scarsità di dosi a disposizione del nostro Paese non può essere un alibi – si legge nel report curato di Villa, che segue per Ispi l’andamento della pandemia non solo in Italia – perché “le dosi destinate a ciascun Paese membro dell’Unione europea vengono distribuite dalla Commissione europea sulla base della popolazione nazionale”. I Paesi più piccoli hanno qualche piccolo vantaggio, tuttavia il numero delle dosi resta scarso per tutti.
Cosa succede in Europa
I ricercatori dell’Ispi hanno elaborato i dati del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) sulle dosi di vaccino somministrate alle persone ultra-ottantenni fino allo scorso 14 febbraio in 16 paesi dell’Unione Europea. I risultati non sono confortanti per il nostro Paese. “Quattro Paesi europei (Polonia, Repubblica Ceca, Finlandia e Svezia) hanno già somministrato almeno la prima dose di vaccino a un quarto o più dei loro ultra-ottantenni. Francia (23%) e Germania (22%) seguono a ruota”. Questi ultimi sono due Paesi con una popolazione comparabile alla nostra, anche nella quota di ultra-ottantenni. L’Italia chiude la classifica con un esiguo 6%, poco sopra la Lituania al 3% e appena sotto la Croazia al 7%.
Questi numeri riescono a far fare una previsione per nulla rassicurante: la letalità del coronavirus non riuscirà a scendere velocemente nei prossimi mesi perché la popolazione più a rischio non è stata protetta.