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Volontariato

L’involontariato

Ragionare sul sociale e sul terzo settore, includendoci tutti i privati che svolgono questo ruolo di fatto. Il corsivo di Battista Falconi

 

Il privato sociale o volontariato andrebbe talvolta definito come “involontariato”. La situazione da questo punto di vista – tagliata con l’accetta, ancorché di una complessità che richiederebbe una definizione cesellata – è infatti che l’occupazione aumenta ma i salari sono sempre meno adeguati al costo della vita, anche per banalità speculative che necessiterebbero di misure adeguate quanto impopolari (non si riescono a tassare gli extraprofitti bancari ma nemmeno gli aumenti ingiustificati dei prezzi al dettaglio). Pertanto, l’ampia e variegata fascia di popolazione che da sempre è la spina dorsale e la spinta propulsiva della società italiana, il cosiddetto e tanto citato ceto medio, scivola verso il basso.

In una zona dove non ha problemi a cucire il pranzo con la cena ma fatica se deve scegliere un percorso di studi qualificato per i figli, dove si arrabbia e si arrabatta quando deve pagare le utenze. L’area che ha problemi nel momento in cui deve fare fronte a spese involontarie, straordinarie e cospicue come quelle che riguardano la sanità o una cerimonia funebre. La fascia che deve selezionare con attenzione le vacanze e le spese che consideriamo “accessorie”, nonostante che la storia dei consumi attesti sempre di più sia l’accessorio quale vera differenza, il superfluo quale metro di misura delle società “avanzate”. Da qui, degradare verso il disagio è un attimo, se ci si mette un carico assistenziale importante per un membro della famiglia con disabilità, problemi giudiziari, dipendenze (casistica, quest’ultima, con una diffusione ampia quanto ignorata) e problemi del genere.

Detto questo, la soluzione si offre in due modalità apparentemente distanti ma che conducono allo stesso nodo. Come aiutare i privati organizzati con capacità imprenditoriali, spirito di iniziativa, modelli di business a gestire i servizi sociali in modo efficace e redditizio? E come considerare i singoli che sul territorio inventano attività senza porsi finalità filantropiche, ma assolvendo ugualmente funzioni di accoglienza verso i meno fortunati?

Facciamo un paio di esempi del primo caso, per esempio San Patrignano e Dynamo Camp, due grandi realtà del terzo settore che danno sostegno a migliaia di famiglie, rispettivamente nel recupero e nelle disabilità, chiedendo di essere agevolati nel lavoro che svolgono senza chiedere quasi nulla in termini di contribuzione. Per la seconda categoria abbiamo invece l’esercizio commerciale che tira avanti in un piccolo centro in via di spopolamento, la cooperativa di pescatori che fornisce un pasto self service a prezzi contenuti, il bar del paese che permette a persone meno abbienti di trascorrere mezze giornate in compagnia, il circolo degli anziani dove giocare a burraco, la società sportiva tramite cui famiglie numerose possono far fare sport ai figli… Tutte queste cose, senza spendere cifre insostenibili.

Il primo è vero volontariato, il secondo è appunto un “involontariato”. La gamma è ampia e variegata, non rientra tutta nel terzo settore ma costituisce, assieme a quello propriamente detto, un’unica realtà. Non può essere più il “pubblico” ad affrontare i costi di una società anziana e quindi fragile come la nostra, lo vediamo bene nella sanità e nella previdenza che sono i due pilastri del “sociale”. Lo Stato, con le sue erogazioni ma soprattutto le sue agevolazioni, fiscali e normative, ha quindi il dovere e l’interesse di ragionare su queste diverse tipologie di iniziative private che vanno incontro a una popolazione bisognosa di aiuto fisico e materiale.

La routine, in assenza di comunità famigliari abbienti, dal punto di vista psicologico diventa un dramma quotidiano, genera depressione, infelicità, sconforto e occorre focalizzare meglio certi sentimenti negativi, in modo illuminato e previdente. Siamo in presenza di numeri considerevoli, di milioni di persone che hanno bisogno di socialità, calore, simpatia, sorrisi almeno quanto di terapisti, esperti, strutture, mezzi tecnologici, supporto materiale e pratico. Allargare e modificare l’attenzione alla questione sociale, aiutare chi già fa è più pragmatico che cercare di creare le condizioni per le quali qualcun altro cominci a fare, del tutto teoricamente.

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