La pandemia di Covid-19 ha impattato su ogni aspetto della nostra società: non solo sull’economia ma anche sulla struttura stessa, facendoci riscoprire, in un periodo storico in cui il welfare pubblico pareva destinato a sfilacciarsi a favore di una dimensione sempre più spesso privata se non perfino familiare, la centralità dei sistemi sanitari, scudo di difesa contro nemici subdoli e insidiosi: le malattie.
Adesso, intenti in quella che potremo definire “ricostruzione post pandemica” finanziata dai fondi europei del Next Generation Eu, dobbiamo dimostrare di avere imparato la lezione impartita dal virus: le difese debbono essere rafforzate e la salute deve tornare ad assumere un ruolo centrale, dopo che per anni tale settore era stato considerato la vittima predestinata di ogni taglio finanziario.
Anzi, dobbiamo intendere la pandemia come uno stress test utile a fare emergere, simultaneamente, tutti i problemi del sistema, così da rafforzare se non persino rivoluzionare le sue parti più deboli ed esposte, a iniziare dalla medicina territoriale, primo bastione del nostro sistema sanitario che, lo provano i fatti, si è anche rivelato il più debole, portando così alla congestione delle strutture ospedaliere e alla necessità di rinviare esami, visite e operazioni non attinenti all’emergenza sanitaria contingente.
Com’è noto, un capitolo importante dei fondi che l’Unione europea ha messo a disposizione dei vari Paesi membri per garantire la ripresa dopo la crisi è stato destinato proprio alla sanità. Attorno a questo capitolo di spesa si gioca la partita di una trasformazione del sistema sanitario che implica innanzitutto quel famoso “cambio di paradigma” che viene richiesto in tanti settori della nostra vita sociale nell’era post-pandemica. La chiamano “disruptive health innovation”.
Il White Paper di Start Magazine Salute e ricerca – Immaginare nuovi modelli di sanità parte proprio dalle lezioni impartite da un “essere” microscopico come il Covid-19 capace però di scuotere fin dalle fondamenta gli Stati più ricchi nel tentativo di comprendere non solo ciò che non ha funzionato, ma anche cosa si deve fare per non correre più il rischio di farsi trovare impreparati di fronte a minacce egualmente imponderabili.
In tal senso la corsa mondiale ai vaccini, resi disponibili ad appena nove mesi dallo scoppio dell’epidemia globale, è un paradigma perfetto. Lo sviluppo è stato fattibile grazie ai progressi raggiunti su diversi fronti convergenti: la scoperta dell’mRNA e dell’utilizzo di quella stringa di codice genetico per insegnare alle cellule a produrre pezzetti di virus e rafforzare il sistema immunitario; la consapevolezza di dover proteggere, e come, quelle fragili molecole dalla degradazione una volta che sono introdotte nel corpo umano; la ricerca avanzata sulla proteina spike del virus dell’HIV, nel tentativo disperato di trovare un vaccino contro l’epidemia di AIDS.
Ma nel nostro paper non parleremo soltanto di Covid-19. Infatti, abbiamo voluto focalizzarci anche sulle malattie rare e croniche la cui cura è stata colpevolmente ignorata in emergenza, sui modelli inediti per le nuove terapie e soprattutto sull’apporto della tecnologia: dalla telemedicina al ruolo nel comparto del 5G. Perché non può esserci evoluzione nella scienza senza una evoluzione nella tecnica. E non avremo entrambe senza investimenti, pubblici e privati.