Ieri, nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, ha parlato di un Piano d’azione nazionale per tutelare l’università e la ricerca italiane dalle ingerenze straniere, che presumibilmente dovrebbe essere presentato a dicembre in occasione del G7 a Bari sulla sicurezza della ricerca.
All’incontro hanno partecipato anche la ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini; la presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), Giovanna Iannantuoni; e il presidente della Consulta nazionale dei presidenti degli Enti di ricerca (Conper), Antonio Zoccoli.
IL PIANO IN BREVE
Il Piano d’azione nazionale per tutelare l’università e la ricerca italiane dalle ingerenze straniere, ha spiegato l’esecutivo, sarà un “meccanismo efficace e non invasivo”, il cui obiettivo è fornire delle linee guida da seguire senza gravare sulle attività quotidiane delle istituzioni di ricerca e che offra “moduli formativi e informativi” nonché “suggerimenti di mitigazione a seconda delle diverse situazioni e dei rischi”.
Funzionerà come una sorta di semaforo su base auto-valutativa: con luce verde si va avanti; con luce gialla si rallenta e si controlla meglio; con luce rossa ci si ferma e si approfondisce il rischio, anche grazie alla collaborazione di un centro di riferimento nazionale.
L’intento è sensibilizzare sul tema della sicurezza e fornire strumenti pratici per affrontarlo. L’obiettivo è arrivare a un sistema operativo e diffuso a tutte le università ed enti di ricerca entro il 2026, dopo una fase sperimentale nel 2025.
Ma in cosa consistono le linee guida? Secondo quanto scrive Giulia Pompili sul Foglio: “Il governo a dicembre presenterà linee guida più concrete – va detto, su una materia difficilissima – basate sulla sensibilizzazione dei protagonisti e sulla creazione di cosiddette ‘zone a ingresso ristretto’ – settori in cui sarà probabilmente vietato o disincentivato cooperare con i paesi ostili”.
I PAESI OSTILI
Questi “paesi ostili” non sono stati esplicitati durante la conferenza stampa ma stando al Fatto Quotidiano il “drenaggio occulto di conoscenze scientifiche tecnologiche nel campo dell’università e della ricerca”, di cui ha parlato Mantovano, sarebbe indirizzato “principalmente verso la Cina e in pochissimi casi verso l’Iran”.
Il sottosegretario, senza fare nomi, ha poi portato l’esempio di una collaborazione sul sistema del sequenziamento del Dna fra un’azienda italiana e un’altra straniera, a cui sono stati trasmessi nel dettaglio tutti i dati.
Il piano, ha detto Mantovano “non è contro qualcuno” ma a “tutela” della ricerca. Gli ha fatto eco la ministra Bernini, la quale pensa che “non esistono Paesi buoni o cattivi, esistono buone o cattive pratiche”.
DA DOVE NASCE L’IDEA DI UN PIANO D’AZIONE
Mantovano ha spiegato che il fenomeno è già monitorato da tempo dall’intelligence e che il Piano d’azione riguarda l'”adempimento di un obbligo europeo”, ovvero una raccomandazione, approvata anche dall’Italia a fine maggio, che chiede di adeguarsi agli standard internazionali di sicurezza.
La raccomandazione affermava infatti: “L’apertura, la cooperazione internazionale e la libertà accademica sono al centro della ricerca e dell’innovazione di livello mondiale. Tuttavia, le crescenti tensioni internazionali e la sempre maggiore rilevanza geopolitica della ricerca e dell’innovazione espongono sempre di più i ricercatori e gli accademici dell’Unione a rischi in materia di sicurezza della ricerca quando cooperano a livello internazionale e, di conseguenza, pongono la ricerca e l’innovazione europee di fronte a ingerenze malevole e usi impropri che compromettono la sicurezza dell’Unione”.
IL LAVORO DEGLI 007
Come detto dal sottosegretario, l’intelligence tiene già da tempo tali ingerenze sott’occhio. Secondo il Fatto Quotidiano, da un paio d’anni, in parte portando avanti “un’attività di sensibilizzazione per prevenire il fenomeno” e in parte “con una vera e propria opera di spionaggio”.
Da qui, in alcuni casi, le ingerenze straniere sarebbero emerse “attraverso lo scambio interculturale tra studenti con inserimenti in master di giovani stranieri che lavorano per aziende nazionali; in altri casi con collaborazioni scientifiche su ricerche finanziate da Stati esteri che poi portano in patria il know-how dell’azienda o dell’ente di ricerca con il quale hanno lavorato. […] Infine ci sarebbero stati dei veri fenomeni di reclutamento di soggetti”.
I settori più colpiti sarebbero quello medico e quello delle biotecnologie.