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Il flop di AstraZeneca sul farmaco Fasenra

Fasenra, il secondo prodotto più venduto nella divisione respiratoria e immunologica di AstraZeneca, con ricavi pari a 920 milioni di dollari nella prima metà del 2025, non ha raggiunto i risultati sperati per trattare la broncopneumopatia cronica ostruttiva, per cui anche Sanofi, GSK e Merck stanno sviluppando nuovi farmaci. Fatti e numeri

 

AstraZeneca ha comunicato che il proprio farmaco Fasenra (benralizumab), utilizzato per il trattamento dell’asma grave, non ha raggiunto l’endpoint primario in uno studio di fase III su pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Si tratta del secondo insuccesso per Fasenra in questa indicazione terapeutica. Lo studio, denominato RESOLUTE, ha mostrato un miglioramento numerico, ma non statisticamente significativo, nella riduzione delle riacutizzazioni rispetto al placebo.

Le azioni della casa farmaceutica sono rimaste pressoché invariate nelle prime contrattazioni a Londra, con un calo inferiore all’1%.

COS’È LA BPCO

La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), spiega l’Istituto superiore di sanità (Iss), è una malattia respiratoria progressiva caratterizzata da un’ostruzione irreversibile delle vie aeree e da infiammazione cronica del tessuto polmonare, che porta nel tempo a un rimodellamento dei bronchi e a una significativa riduzione della capacità respiratoria.

I sintomi principali sono tosse persistente, spesso produttiva, e dispnea che si aggrava nel tempo, soprattutto nei soggetti con una lunga esposizione al fumo di sigaretta, principale fattore di rischio. Anche fattori genetici, come il deficit di alfa1-antitripsina e malattie preesistenti come asma o ipersensibilità bronchiale possono contribuire allo sviluppo della patologia.

La malattia viene classificata in quattro stadi di gravità. Anche se non esiste una cura definitiva, sono disponibili trattamenti per controllare i sintomi, rallentare la progressione e ridurre le complicanze: tra questi, broncodilatatori, corticosteroidi, ossigenoterapia e ventilazione meccanica.

LO STUDIO DI ASTRAZENECA

Il trial di AstraZeneca per estendere l’uso di Fasenra anche per la broncopneumopatia cronica ostruttiva ha coinvolto pazienti affetti da BPCO da moderata a molto grave, con una storia clinica di almeno due riacutizzazioni nell’anno precedente. I partecipanti erano per lo più fumatori attivi o ex fumatori, già in trattamento con terapie standard.

La casa farmaceutica ha fatto sapere che analizzerà l’intero set di dati dello studio per comprendere meglio i risultati e che li condividerà con la comunità scientifica.

I NUMERI DELLE VENDITE DI FASENRA

Fasenra, scrive Reuters, è il secondo prodotto più venduto nella divisione respiratoria e immunologica di AstraZeneca, con ricavi pari a 920 milioni di dollari nella prima metà del 2025, in crescita del 18% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

“Grazie alla sua consolidata capacità di colpire ed eliminare gli eosinofili, Fasenra ha contribuito a trasformare il trattamento dell’asma grave e, più recentemente, ha dimostrato un effetto significativo nella granulomatosi eosinofila con poliangioite e nella sindrome ipereosinofila”, ha dichiarato Sharon Barr, dirigente di AstraZeneca.

COSA FANNO I COMPETITOR

La BPCO è una delle maggiori cause di morte a livello globale e rappresenta un mercato in crescita. Come fa notare Bloomberg, aziende quali Sanofi, GSK e Merck stanno sviluppando nuovi farmaci per questa patologia, con quest’ultima che ha recentemente annunciato l’acquisizione di Verona Pharma per assicurarsi un potenziale blockbuster nel settore.

AstraZeneca, da parte sua, continua a investire in nuove soluzioni terapeutiche per la BPCO, con due farmaci sperimentali in fase avanzata: tozorakimab e tezspire.

UN BUON RISULTATO

Separatamente, riferisce Reuters, AstraZeneca ha annunciato che il farmaco Saphnelo (anifrolumab) ha raggiunto l’endpoint primario in uno studio di fase III (TULIP-SC) su pazienti affetti da lupus eritematoso sistemico (LES). La somministrazione sottocutanea del farmaco ha prodotto una riduzione statisticamente e clinicamente significativa dell’attività della malattia rispetto al placebo. Secondo l’azienda, questo risultato potrebbe ampliare l’accesso alla terapia per un numero maggiore di pazienti

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