Tutto è iniziato con il caso dell’uomo in Missouri positivo all’influenza aviaria senza che avesse avuto contatti con animali malati. Si è ipotizzato che fosse la prima volta che l’infezione si era trasmessa da uomo a uomo ma le persone vicine a lui sono risultate negative. Tuttavia, uno dei suoi contatti e sei operatori sanitari con cui ha avuto a che fare hanno sviluppato lievi sintomi respiratori.
Ora le autorità sanitarie statunitensi stanno indagando in modo approfondito per capire se avessero già gli anticorpi contro il virus che continua a dilagare tra uccelli e mucche da latte del Paese.
IL CASO DI AVIARIA IN MISSOURI
Il 6 settembre scorso i Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) hanno riferito del primo caso di influenza aviaria umana in un paziente che non aveva avuto contatti con animali infetti. Solitamente infatti i casi identificati finora nell’uomo erano sempre connessi all’esposizione ad animali malati.
Dalle prime indagini era risultato che nessuno dei suoi contatti stretti fosse stato contagiato ma venerdì scorso le autorità sanitarie hanno fatto sapere che stanno conducendo ulteriori approfondimenti circa sei operatori sanitari che sono stati esposti al caso.
I SINTOMI SVILUPPATI DAGLI OPERATORI SANITARI
Il Missouri, secondo quanto dichiarato dai Cdc, ha osservato che due di questi operatori sanitari – entrati in contatto con il paziente affetto da influenza aviaria prima che venissero istituite le precauzioni contro un’esposizione a rischio più elevato – hanno sviluppato sintomi respiratori lievi.
Uno è risultato negativo al test PCR per l’influenza e l’altro ha fornito un campione di sangue per essere analizzato dai Cdc per la ricerca di potenziali anticorpi contro l’influenza A(H5N1).
Sono stati poi identificati altri quattro operatori sanitari che hanno sviluppato lievi sintomi respiratori. Anche loro hanno ugualmente fornito un campione di sangue per il test degli anticorpi H5. A parte l’operatore sanitario che è risultato negativo al test PCR per l’influenza, gli altri cinque non sono stati sottoposti al test PCR per le infezioni respiratorie perché questo sarebbe stato inaffidabile al momento della scoperta dei sintomi.
ATTESA PER I RISULTATI
Per quanto riguarda invece i risultati dei test sierologici effettuati dai Cdc sul caso positivo e sul contatto familiare precedentemente identificato sono ancora in attesa.
A oggi, in Missouri è stato individuato un solo caso di influenza A(H5N1) e nessun contatto è risultato positivo all’influenza aviaria.
Dall’aprile 2024, negli Stati Uniti sono stati segnalati 14 casi umani di infezione da virus dell’influenza aviaria A(H5): 4 di questi sono stati associati all’esposizione a mucche da latte malate e 9 all’esposizione a pollame infettato dal virus dell’influenza aviaria A(H5N1). La fonte dell’esposizione del paziente in Missouri non è stata determinata.
IL TIMORE DEL CONTAGIO UOMO-UOMO
Pur rimanendo basso il rischio immediato per la popolazione, i Cdc hanno deciso di approfondire i sintomi mostrati dagli operatori sanitari per escludere che ci sia stata una trasmissione da uomo a uomo. La notizia infatti, secondo quanto scrive il New York Times, ha allarmato gli esperti.
“A questo punto dovremmo essere molto preoccupati”, ha dichiarato al Nyt il dottor James Lawler, co-direttore del Global Center for Health Security dell’Università del Nebraska. “Nessuno dovrebbe ancora premere l’allarme di emergenza, ma dovremmo dedicare molte risorse per capire cosa sta succedendo” perché, ha spiegato l’esperto, se i funzionari confermassero l’infezione da H5N1 nel membro della famiglia o in uno degli operatori sanitari, “significa che il virus si sta avvicinando sempre di più a quello che sarebbe un vero e proprio virus pandemico” e “a quel punto si apre il vaso di Pandora”.
Nonostante l’esiguo numero di infezioni umane da influenza aviaria registrato negli Stati Uniti, per Caitlin Rivers, epidemiologa del Johns Hopkins Center for Health Security, non è da sottovalutare la velocità con cui si diffonde un’eventuale influenza pandemica e va anche ricordato che “in tutte le epidemie gli operatori sanitari sono spesso un segnale precoce che qualcosa è andato storto”.
Anche in Italia Matteo Bassetti, medico e primario di Malattie infettive al San Martino di Genova, ha più volte avvertito sulla necessità di tenere gli occhi aperti. “Questo virus si sta avvicinando progressivamente all’uomo ed è più vicino di quanto possiamo pensare […] Ora aspettiamo altre certezze dagli Usa su questa vicenda ma prima o poi l’influenza aviaria sarà un problema globale e andrà affrontata”, aveva detto in seguito all’infezione umana in Missouri.
L’IMPORTANZA DEL TEMPISMO E DEL SEQUENZIAMENTO
Sempre stando al Nyt, alcuni esperti hanno criticato la lentezza con cui vengono diffuse le informazioni e la mancanza di importanti dettagli epidemiologici, tra cui la tempistica dei sintomi nel paziente iniziale e nei contatti stretti.
Nel caso del Missouri, per esempio, i Cdc sono riusciti a sequenziare solo una parte del virus isolato dal paziente ricoverato, da cui è emerso che questo non si è discostato dalla versione che circola nei bovini da latte, né ha acquisito mutazioni che gli permettano di diffondersi facilmente da persona a persona, “ma ogni nuova infezione – afferma il quotidiano – offre al virus l’opportunità di acquisire tali mutazioni e di evolversi in una forma che potrebbe scatenare la prossima pandemia”.
Anche Nature, a metà settembre, evidenziava come le lacune nei dati fanno brancolare nel buio i ricercatori.