Anche solo un anno fa sarebbe stata una data da festeggiare come un freedom day. Il 2 febbraio, infatti, cadrà in Germania una delle ultime misure di precauzione contro il Covid ancora in vigore: l’obbligo di utilizzo delle mascherine FFP2 sui mezzi pubblici. Riguarderà autobus, tram, metropolitane e treni. Non gli aerei, dove tale obbligo era già stato cancellato, su pressione delle compagnie. Oggi, questo 2 febbraio è invece una data che passa quasi in sordina, un allentamento che arriva anche in ritardo rispetto ad altri paesi.
COM’È ANDATA LA GESTIONE DELLA PANDEMIA IN GERMANIA
Via le mascherine, dunque, anche in Germania, dove qualche Land come al solito è andato per fatti suoi e ha già anticipato i tempi, anche per forzare la mano al renitente ministro della Sanità: quel Karl Lauterbach salutato un anno fa come l’uomo giusto al posto giusto, il medico competente giunto finalmente sulla tolda della nave tedesca che era stata sballottata nel secondo anno della pandemia sotto la guida via via sempre più incerta del predecessore Jens Spahn.
A Lauterbach è invece toccato in sorte di gestire la fase discendente delle infezioni alla quale ha reagito come ci si aspettava: come un medico. Prudenza, da qualcuno considerata anche troppa quando è apparso chiaro che le cose si stavano mettendo al meglio. La vicenda delle mascherine, da tempo ormai non più necessarie nei luoghi chiusi, era diventata simbolica. Sui mezzi pubblici la Germania ha tenuto duro anche questo inverno, mentre tutti i paesi confinanti avevano sollevato l’obbligo. E proprio i numeri dei contagi in Austria e Italia, prima contenuti poi in calo nonostante l’abolizione delle mascherine sui mezzi pubblici, ha spinto il ministro Lauterbach ad acconsentire a questo passaggio anche in Germania.
D’altronde a pressarlo non erano solo i presidenti dei Länder, e neppure i soliti alleati liberali, da sempre più propensi a puntare più sulla libera scelta dei cittadini, ma anche i Verdi e infine pure i suoi stessi colleghi di partito socialdemocratici. Anche per motivi di ordine pubblico.
I LITIGI SULL’OBBLIGO DI MASCHERINE
Secondo le informazioni della Società delle ferrovie e del trasporto pubblico EVG, i litigi sull’obbligo di mascherina sono balzati al primo posto nella classifica dei motivi che scatenano aggressioni da parte dei viaggiatori al personale in servizio. E lo stesso Lauterbach ha ammesso alcuni errori nella rigida gestione della crisi, caricandosi sulle spalle anche quelli del suo predecessore: scuole e asili sono rimasti chiusi per troppo tempo, le valutazioni degli scienziati sui rischi di contagi nel caso fossero rimasti aperti si sono rivelate esagerate e non sono state confermate dagli andamenti delle curve, ha detto tracciando il bilancio della pandemia.
I NUMERI SUI CONTAGI
Così il 2 febbraio scatta il freedom day, senza fanfare e squilli di tromba. I numeri del Covid sono al momento più che tranquillizzanti anche in Germania e lasciano ben sperare che quella attuale non sia solo una tregua fra diverse ondate ma proprio l’ingresso nella fase post pandemica. Dall’inizio di gennaio a oggi il numero dei pazienti ricoverati per Covid nelle rianimazioni è sceso da 1500 a 800 in tutto il paese, tanto da far dire al vicepresidente dell’Associazione interdisciplinare tedesca per la medicina intensiva e d’emergenza che “il virus non è più un problema nei reparti di terapia intensiva e ora possono essere recuperate le tante operazioni rimandate ancora nel mese di dicembre”.
Se si prendono i dati di Berlino come esempio, l’incidenza dei contagi (misurata su 7 giorni) è scesa questa settimana a 58,1. Solo come riferimento, esattamente un anno fa toccava la cifra di 700, con punte di oltre 1000 nei quartieri più colpiti. Si era nel pieno delle ondate invernali del 2022, nel secondo anno della pandemia. Poi il completamento della campagna di vaccinazione e la diffusione delle immunizzazioni attraverso contagi con decorso non grave hanno fornito una copertura sufficiente a far cessare l’allarme. L’autunno passato e l’inverno ancora in corso non hanno mostrato alcuna nuova ondata di contagi.
Un altro segnale della fine dell’emergenza è l’annunciato addio a marzo di Lothar Wieler dalla guida del Robert Koch Institut. Weiler è stato uno dei volti più noti durante la crisi, l’uomo che a capo dell’istituto cui era demandata la gestione dell’emergenza ogni settimana spiegava l’andamento della pandemia e raccomandava le misure da adottare. Un uomo proiettato suo malgrado – e nonostante il suo carattere riservato – sul proscenio delle conferenze stampa. Nel marzo 2020, il governo federale dell’epoca – anche sulla base dei suoi consigli – pose la Germania in uno stato di emergenza senza precedenti nella storia: le scuole furono chiuse, i contatti furono limitati come mai prima, ristoranti, parrucchieri e attività simili dovettero smettere di lavorare. Ora, tre anni dopo, anche il suo addio – giunto in verità un po’ a sorpresa – rimarca la fine dell’emergenza. Anche se Weiler lascia da scienziato un messaggio alla politica, a futura memoria: “L’indipendenza della ricerca deve essere accettata anche in futuro, perché è indispensabile affinché il Robert Koch Institut possa svolgere i suoi compiti”.
Così anche la Germania si appresta a entrare nella sua fase post pandemica. Con tutti i problemi che il Covid lascia sul terreno dell’organizzazione sanitaria, estremamente provata dai tre anni appena trascorsi. Il ministro Lauterbach è ora chiamato alla sua vera prova da ministro: quella di condurre in porto una riforma del sistema sanitario che torni a privilegiare l’attenzione e la cura del cittadino invece che la redditività dei posti letto ospedalieri. Un compito nient’affatto semplice, perché nonostante i buoni propositi espressi un po’ da tutti nelle fasi calde dell’emergenza pandemica, i soldi per migliorare e perfezionare il sistema sanitario non sono tantissimi. E le casse mediche sono uscite con le ossa rotte dalla grande pressione sostenuta. Con le emergenze economiche e politiche (in primo luogo quella energetica) determinate dalla guerra russa in Ucraina, altre priorità si sono affacciate sui tavoli dei governi. Trovare l’equilibrio giusto per una riforma incisiva non sarà facile.