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Frane e alluvioni? Macché cambiamento climatico, basta analfabetismo scientifico. Parola di professore di Geologia

Se i nubifragi causano danni la responsabilità è umana. E non mi riferisco all’impatto delle attività antropiche sul clima. Mi riferisco alla presenza delle nostre opere nelle aree non idonee, o comunque realizzate con criteri che conferiscono loro una elevata vulnerabilità. Basta osservare le condizioni con le quali sono stati imbrigliati i corsi d’acqua. O dove in alcuni casi sono state costruite case o strade. Conversazione con prof. Alberto Prestininzi, ordinario di Geologia Applicata e Rischi Geologici alla Sapienza

 

“Si è diffuso un “analfabetismo di ritorno” scientifico, veicolato dal sistema di informazione, che fa perdere la cognizione della realtà. Fino al 2000 abbiamo costruito dighe per accumulare acqua, evitare che i fiumi andassero in piena, utilizzando questa risorsa nei periodi siccitosi o generare energia idroelettrica. Non solo sono vent’anni che noi non costruiamo più queste opere, ma è stato disatteso l’elemento centrale della prevenzione, la legge 183/89 sulla difesa del suolo”.

Parola del prof. Alberto Prestininzi, ordinario all’università La Sapienza di Roma di Geologia Applicata e Rischi Geologici, già fondatore del Centro di Ricerca CERI “Previsione Prevenzione e Controllo dei Rischi Geologici” della Sapienza”

A tre giorni dall’alluvione che ha travolto l’Emilia-Romagna si iniziano a contare i danni. Sono 14 le vittime accertate e ingente è la distruzione di case, aziende e terreni. Il presidente della Regione Stefano Bonaccini ha stimato che serva più di un miliardo di euro per risanare quanto è stato devastato dalla pioggia. E nel fine settimana sono previsti ulteriori rovesci.

Ecco la conversazione di Start Magazine con il professor Prestininzi.

Sale il numero delle vittime dell’alluvione in Emilia-Romagna. Sono vittime del cambiamento climatico?

No, non bisogna confondere il clima con la meteorologia. Il clima ha variazioni che si registrano nel corso dei secoli e non nel corso di anni. Se noi prendiamo la distribuzione delle piogge in Italia dal 1901 al 2023, facciamo la media e poi su questo grafico mettiamo, partendo dalla media, tutte le piogge in eccesso (alluvioni) e tutte quelle in difetto (siccità), risulta evidente come la frequenza di questi eventi sia molto elevata e statisticamente regolare. Valori di 200-300 mm di pioggia in eccesso, o in difetto, rispetto alla media sono presenti nell’intervallo temporale considerato tra 1l 1901 e il 2023. In Italia cadono circa 282 miliardi di metri cubi d’acqua l’anno. Il nostro è tra i paesi più piovosi d’Europa, dove si registra una quantità di precipitazione superiore a quella, per esempio, della Germania o della Francia. Se in questi paesi bisogna uscire da casa tutti i giorni con l’ombrello, perché piove quasi tutti i giorni, in Italia noi abbiamo periodi in cui le precipitazioni sono totalmente assenti, come nei mesi estivi, e altri in cui c’è un forte eccesso di pioggia. Da questo grafico si individuano gli eventi di Molare, (Agosto, 1935), Calabria (ottobre 1930, 1949, 1950, 1972, settembre 2000); Polesine (Novembre, 1951), Salerno (Ottobre, 1954), Firenze (Novembre, 1966), Val Pola (Luglio, 1998), Sarno e Quindici (Maggio, 1998), Ischia, aprile 2006; Olbia, novembre 2021; Ischia, Novembre, 2022; e molti altri ancora, che hanno interessato le regioni Marche e Liguria.

Quindi il nostro è un paese naturalmente molto piovoso.

Sì. Nel nostro territorio è frequente che si alternino periodi di precipitazioni più abbondanti con altri di assenza di precipitazione. E una altra caratteristica tutta italiana, testimoniata dalla presenza di un particolare reticolo idrografico nel quale si convoglia l’acqua. I i fiumi nella nostra penisola che, correttamente, per la loro estrema variazione delle portate. Il Tevere, ad esempio, che consideriamo un fiume, passa da portate di 10 metri cubi al secondo ad altre da 1000 metricubi al secondo. Forse di fiume in Italia ce n’è solo uno, il Po, gli altri hanno un regime torrentizio, come testimoniato dalle loro caratteristiche: tendenzialmente poco lunghi, dall’Appennino arrivano al mare dove scaricano le grandi portate, sono molto acclivi e hanno un alveo molto largo, perché poter smaltire, di tanto in tanto, gli eccessi di portata. Nel tempo è accaduto che i loro alvei sono stati via via occupati per far posto allo sviluppo antropico. I fiumi, o questi torrenti, sono stati rinchiusi in “gabbia” con la costruzione di argini. Quando arriva la portata aumento, come in queste occasioni di pioggia in eccesso, i nostri torrenti avrebbero bisogno di occupare il loro alveo naturale, ma non possono farlo: esondano o rompono gli argini invadendo le aree ormai occupate dalle nostre strade e dalle nostre case. Questi dati fanno parte della conoscenza e sono presenti nella letteratura scientifica. Fino agli anni ’90 sono stati istituiti i progetti finalizzati, tra i quali quelli che riguardano la difesa del suolo e gestiti dal CNR, il GNDCI (Gruppo Nazionale Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche) che hanno fatto crescere una generazione di ricercatori ed accademici molto esperti in quello che viene definiti il Rischio idrogeologico. Queste conoscenze si stanno disperdendo. Avevamo anche il GNDT, per la difesa dalle catastrofi e dai terremoti. Tutto questo costituisce un patrimonio che ha, tra l’altro, prodotto Autorità di Bacino con il compito di produrre i documenti di pericolosità (Frane, alluvioni, ecc.), parliamo di documenti sovraordinati che devono guidare le Pianificazione Territoriale e garantire che le attività antropiche che non devono interferire con le pericolosità. Culturalmente questo aspetto era presente fino a 15-20 anni fa.

E poi cos’è successo negli ultimi 20 anni?

È successo che si è diffuso un “analfabetismo di ritorno” scientifico, veicolato dal sistema di informazione, che fa perdere la cognizione della realtà. Fino al 2000 abbiamo costruito dighe per accumulare acqua, evitare che i fiumi andassero in piena, utilizzando questa risorsa nei periodi siccitosi o generare energia idroelettrica. Non solo sono vent’anni che noi non costruiamo più queste opere, ma è stato disatteso l’elemento centrale della prevenzione, la legge 183/89 sulla difesa del suolo, una legge che ci ha invidiato tutto il mondo e che attribuiva alle Autorità di Bacino il compito di definire su tutto il territorio nazionale le situazioni di pericolo, di rischio idrogeologico. Ecco tutto questo rischia di perdersi definitivamente.

È per l’incuria che ultimi anni abbiamo assistito agli eventi calamitosi a Ischia, nelle Marche, in Emilia-Romagna?

Noi attribuiamo a questi eventi un’origine sbagliata, non è il cambiamento climatico ma sono le cose che abbiamo esposto in precedenza. È la caratteristica naturale della nostra penisola. Una caratteristica che se fosse ben organizzata darebbe al nostro paese un grande privilegio: avere acqua abbondante e godere nei mesi caldi della sua vocazione turistiche. Ecco perché le dico che siamo entrati in una fase di analfabetismo scientifico e culturale pericolosa che coinvolge anche le nuove generazioni che frequentano i luoghi della ricerca. E dobbiamo assistere a sceneggiate di persone, non competenti di questo tema, che continuano a ripetere che questi eventi dipendono dal cambiamento climatico.

Se sono eventi normali perché causano danni?

Se causano danni la responsabilità è umana. E quando dico questo non mi riferisco all’impatto delle attività antropiche sul clima. Mi riferisco alla presenza delle nostre opere nelle aree non idonee, o comunque realizzate con criteri che conferiscono loro una elevata vulnerabilità. Basta osservare le condizioni con le quali sono stati imbrigliati i corsi d’acqua. L’obiettivo dovrebbe essere quello di avere una efficiente pianificazione capace di organizzare la presenza umana sul territorio, evitando di costruire case o strade dove non è opportuno.

Molte delle vittime sono agricoltori o residenti in contesti rurali. Così come l’incidenza dei danni materiali è ingente nelle campagne. Sono questi i territori da proteggere con più attenzione?

Tutelare le campagne vuol dire pianificare, pianificare vuol dire dare una destinazione d’uso ai territori adeguata e corretta a quelle che sono le pericolosità. Oggi l’agricoltura riesce a sopperire alla crescente richiesta di prodotti alimentari, a parità di territorio coltivato. Quindi non è la richiesta di nuove superfici, ma sono gli effetti delle esondazioni correlate a quanto dicevamo prima. Quest’ultime altro non sono che la misura della probabilità che un evento si verifichi con una certa intensità e una certa frequenza. Se la destinazione d’uso è adeguata il territorio è tutelato. Le faccio un esempio.

Prego.

Un territorio soggetto a inondazioni era quello della città di Genova. Per anni si è detto che quelle le inondazioni erano causate dal cambiamento climatico. La verità venuta a galla è che la città è percorsa da torrenti che sono stati tombati a partire dal 1928, con opere sotterrane aventi sezioni idrauliche inadeguata. Queste opere furono realizzate per rispondere alle necessità di fare spazio allo sviluppo urbano. Però cosa succede quando piove, e quello di Genova è un territorio nel quale le precipitazioni sono molto elevate? I corsi d’acqua “sotterrati” si saturano, l’acqua rigurgita ed invade strade che si trasformavano in veri corsi d’acqua. Finalmente hanno creato i bypass che erano in programma e mai realizzati. Le faccio un altro esempio. Nelle Marche i fiumi che vanno in piena causando allagamenti sono il Misa e Nevola. Sono state finanziate nel 2016 le casse di espansione, ovvero aree destinate ad accogliere l’eccesso di acqua per il tempo necessario, per poi rilasciarla nuovamente nel fiume. Queste opere non sono a tutt’oggi realizzate.

Quindi, la responsabilità è la mancata realizzazione delle opere necessarie a una convivenza civile tra uomo e ambiente?

Esatto. Ma è diventata mainstream una filosofia che cambia il paradigma dell’uomo. I cattolici mettono l’uomo al centro del creato, la nuova filosofia mette al centro l’ambiente, come se fosse una cosa da adorare invece che comprendere e rispettare. I fenomeni sono definiti da leggi naturali che noi studiamo per conoscerli, noi dobbiamo studiarli e adattarci. L’adattamento è la caratteristica dell’uomo che ha colonizzato questo Pianeta arrivando a otto miliardi di individui grazie alla sua capacità di adattamento.

Una mano all’adattamento dell’uomo all’ambiente potrebbe arrivare dal corretto impiego dei fondi del PNRR?

Se si rispettano le conoscenze scientifiche tutto va bene. La politica dovrebbe seguire la scienza. Spesso, purtroppo, ascolto discorsi che piegano la scienza alle necessità della politica.

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