A Diamante, nota meta turistica calabrese sul Tirreno, tra il 3 e il 6 agosto scorsi esplode un grave cluster di intossicazione da botulino che causa due vittime – Luigi Di Sarno, 52 anni, e Tamara D’Acunto, 45 anni – e una ventina di persone con sintomi che vengono ricoverate, alcune in gravi condizioni. I “colpevoli” sono dei panini con salsiccia e cime di rapa sott’olio venduti da un food truck ambulante sul lungomare, un caso di cattiva conservazione degli ingredienti (il mezzo era sotto il sole, mancava la refrigerazione) che ha favorito la proliferazione della tossina.
L’Unità ospedaliera di Cosenza ha avuto l’idea di organizzare un convegno scientifico che riprende quel caso di cronaca per evidenziare una patologia rara ma insidiosa. Una due giorni di confronto scientifico, con il patrocinio della Regione Calabria e delle Università della Calabria e Magna Graecia di Catanzaro, ma anche di formazione e sensibilizzazione: “Botulino: il veleno che ferma il respiro”, in programma oggi e domani presso l’Ordine dei Medici. “L’iniziativa nasce – dice il promotore, Andrea Bruni, anestesista dell’Ospedale cosentino – all’indomani della gestione del cluster dello scorso agosto, dalla consapevolezza che il botulismo, pur non essendo una malattia frequente, rappresenta un’emergenza sanitaria per la rapidità con cui può compromettere la funzione respiratoria e per la complessità della gestione clinica. Il confronto con la comunità scientifica ha l’obiettivo di affrontare temi cruciali quali diagnosi precoce, disponibilità dell’antitossina, gestione ventilatoria e nutrizionale del paziente, ma anche la sicurezza alimentare e la necessità di coniugare la tradizione con la prevenzione”.
La conservazione sott’olio, in Calabria, al Sud e in tutta Italia ha una tradizione forte e il rischio viene talvolta sottovalutato, ma soprattutto la rarità dei casi diagnosticati produce scarsa letteratura scientifica e impreparazione dei front office che affrontano i casi, com’è avvenuto ad agosto, con ritardi purtroppo letali. Il caso evidenzia alcune problematiche più ampie. Intanto, la difficoltà di chi opera nelle emergenze sanitarie di identificare i sintomi e ricondurli alle cause, l’eziologia è complessa e manca anche la capacità di dialogo: a Diamante un medico insistette sull’ubriachezza della persona intossicata, nonostante l’amico spiegasse che era astemia. E poi i casi silenti che rendono necessario capire i fattori scatenanti, la patogenesi.
Problematiche che ricordano molto l’emergenza Covid, a cominciare dalla terribile condizione dei malati che possono ritrovarsi paralizzati e con gravi difficoltà respiratorie. Nella pandemia, però, la cronaca fu molto più subita che gestita dalla sanità e dall’informazione. Partire da un caso critico per vedere lo scenario clinico e scientifico generale in ottica preventiva, come in questo caso, è un approccio sicuramente più efficace. Importante anche, sempre a differenza di quanto accaduto in pandemia, far parlare come testimoni i malati stessi, cosicché l’informazione non venga calata dall’alto ma arrivi in modo orizzontale, creando più coinvolgimento e consapevolezza. Per questo la prima giornata di lavori si apre con la testimonianza di Gaia Vitiello, una giovane vittima dell’intossicazione botulinica che oggi presta la sua voce alla sensibilizzazione sul tema come ambasciatrice dell’Ospedale cosentino.






