Giorgia Meloni rivendica legittimamente il rifinanziamento del Fondo Sanitario Nazionale a livelli record in valori assoluti e percentuali per abitante. Questi ultimi sono passati dai 1914 euro del 2019 ai 2426 per il prossimo anno. Permangono tuttavia i forti differenziali tra le Regioni per quanto riguarda i livelli delle prestazioni e, soprattutto, le odiose liste d’attesa relative agli interventi chirurgici.
Da anni gli amministratori regionali sono consapevoli che l’invecchiamento della popolazione impone di spostare risorse in favore dei servizi territoriali, a partire dalla assistenza domiciliare e dagli studi associati dei medici di famiglia, così come hanno potuto constatare che l’innovazione riduce la spedalizzazione dei pazienti acuti. Inoltre, da ben dieci anni, un decreto ministeriale ha definito gli standard minimi di efficienza dei plessi ospedalieri senza che i decisori agissero di conseguenza. Gli stessi piani degli esiti segnalano moltissime insufficienze.
Preoccupante è poi il dato medio giornaliero degli interventi nelle sale operatorie pubbliche che risulta essere solo di due con poche punte di quattro e vi sono moltissimi casi nei quali si registra un solo intervento medio al giorno. Ne consegue l’esigenza di ottimizzare l’impiego del personale sanitario concentrandolo in un numero ridotto di ospedali più moderni ove la cura dei pazienti acuti richiede la disponibilità di tutte le competenze, una idonea massa critica per ciascuna tipologia di intervento e un elevato livello di impiego delle tecnologie.
Si tratta di un processo che si era positivamente avviato in alcuni territori ma che poi si è fermato per il timore delle immediate reazioni delle comunità locali.
Sembra oggi riproporsi nelle Regioni la cinica affermazione di quel politico lussemburghese che disse: “sappiamo tutti ciò che è giusto fare, ma non sappiamo come essere rieletti dopo averlo fatto”.






