Si sono rese disponibili nuove evidenze di letteratura provenienti da studi osservazionali. Di seguito sono riassunti gli studi pubblicati su riviste internazionali peer-reviewed, più rilevanti dal punto di vista clinico, in cui fosse presente un gruppo di controllo e il cui endpoint fosse la mortalità.
– Mehra et al. È lo studio più recente e più numeroso condotto finora. Si tratta di un’analisi di registro multinazionale in cui sono stati analizzati i dati provenienti da 671 ospedali in 6 continenti e relativi ai soggetti ospedalizzati con diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 nel periodo compreso tra il 20 dicembre 2019 e il 14 aprile 2020. I soggetti sono stati categorizzati sulla base di 4 distinti trattamenti di interesse (CQ, CQ + macrolide, HCQ, e HCQ + macrolide), mentre i soggetti ricoverati ma non esposti a nessuno dei suddetti trattamenti rappresentavano il gruppo di controllo. Al fine di rendere più omogenei i gruppi di confronto tutti i soggetti dovevano aver iniziato la terapia non oltre le 48 ore dalla diagnosi ed erano esclusi i soggetti in ventilazione meccanica o in trattamento con remdesivir. L’analisi finale dello studio ha incluso 96.032 soggetti (14.888 nel gruppo di trattamento con clorochina/idrossiclorohina e 81.144 nel gruppo di controllo). L’endpoint primario era rappresentato dalla mortalità ospedaliera, principale endpoint secondario era l’occorrenza di aritmie ventricolari clinicamenterilevanti .
Dopo aggiustamento per numerosi fattori di confondimento, i trattamenti con CQ o HCQ, sia da soli che in associazione, si associavano ad un tasso di mortalità significativamente maggiore rispetto al gruppo di controllo. In particolare, a fronte di una mortalità del 9.3% nel gruppo di controllo, tale valore era pari a 18.0% nel gruppo trattato con HCQ (HR 1.33; 95%CI 1.22-1.46), a 23.8% nel gruppo
HCQ+macrolide, a 16.4% nel gruppo CQ (HR 3.56; 1.22-1.53), e a 22.2% nel gruppo trattato con CQ+macrolide (HR 1.37; 1.27-1.47). Anche il rischio di insorgenza di aritmie ventricolari di rilevanza clinica, rispetto al gruppo di controllo (0.3%), era significativamente maggiore nei gruppi di trattamento attivo (6.1% per HCQ, 8.1% per HCQ+macrolide, 4.3% per CQ e 6.5% per CQ+macrolide).
– Rosenberg et al. È uno studio retrospettivo condotto negli Stati Uniti che ha valutato l’associazione tra uso di HCQ, con o senza azitromicina, ed esiti clinici (mortalità e arresto cardiaco) in pazienti affetti da COVID-19. Nello studio sono stati inclusi tutti i soggetti ricoverati per almeno 24 ore, nella regione metropolitana di New York nel periodo 15-28 marzo 2020. Su un totale di 1.438 pazienti con COVID-19, il 51.1% aveva ricevuto HCQ + Azitromicina, il 18.8% solo HCQ, il 14.7% solo azitromicina e il 15.4% del campione non aveva ricevuto nessun farmaco. Nel complesso, è stata osservata una mortalità pari al 20%. Considerando le caratteristiche demografiche, la tipologia di ospedale, le condizioni preesistenti e la gravità di malattia, lo studio non ha riportato nessuna differenza nel tasso di mortalità tra gruppi. Tuttavia, nel confronto con il gruppo che non ha ricevuto nessun farmaco, lo studio riporta una maggiore probabilità di arresto cardiaco nel gruppo HCQ+azitromicina (adjusted OR=2.13 [95%CI, 1.12-4.05] e non nel gruppo HCQ da sola (adjusted OR=1.91 [95% CI, 0.96-3.81] o azitromicina in monoterapia (adjusted OR= 0.64 [95%CI, 0.27-1.56]).
– Geleris et al. Studio osservazionale condotto in un unico centro clinico nella città di New York. Sono stati analizzati i dati di tutti i soggetti ricoverati per COVID-19 escludendo i soggetti intubati e quelli deceduti o dimessi entro le 24 dall’ingresso in ospedale, per un totale di 1.376 soggetti valutabili. L’endpoint primario (intubazione o morte) è stato confrontato tra il gruppo di soggetti trattati con HCQ (n=811; 58.9%) e il gruppo di soggetti non trattati con HCQ (n=565; 41.1%). Dopo un follow-up mediano di 22.5 giorni, l’endpoint primario era stato raggiunto in 346 soggetti (25.1%) e lo studio non ha mostrato alcuna associazione significativa tra l’endpoint e l’assunzione di HCQ (HR 1.04; 95%CI 0.82-1.32).
– Mahevàs et al. Studio retrospettivo condotto in 4 ospedali francesi su 181 pazienti ricoverati in ospedale per COVID19 e polmonite che richiedevano ossigeno (2020). Quattro differenti endpoint (sopravvivenza generale senza trasferimento in terapia intensiva, sopravvivenza in generale a 21 giorni, sopravvivenza senza ARDS, sospensione dell’ossigeno e dimissione) sono stati comparati tra un gruppo di 84 pazienti esposti a HCQ 600mg/die (nella maggior parte dei casi iniziata entro 48 ore dal ricovero) e un gruppo di 89 pazienti non esposti a HCQ. Nel gruppo in trattamento non si sono registrati miglioramenti clinici significativi in nessuno degli endpoint considerati, mentre il 10% dei pazienti nel gruppo HCQ presentano problemi all’ECG che richiedono interruzione del farmaco dopo un tempo mediano di 4 giorni dall’inizio del trattamento.
Nel complesso, sebbene in molti di questi studi siano state adottati opportuni aggiustamenti statistici, la loro natura osservazionale, il possibile bias di selezione nell’indicazione al trattamento e il fatto di essere stati tutti condotti in un setting ospedaliero, non consentono di trarre conclusioni definitive e generalizzabili in altri ambiti di utilizzo più precoce.
Altri studi osservazionali hanno valutato come endpoint principale specifici eventi di sicurezza quali il prolungamento del tratto QT:
– Mercuro et al. Studio di coorte in cui sono stati inclusi tutti i soggetti ospedalizzati con diagnosi di polmonite da COVID-19 trattati con HCQ in monoterapia (n=37) o in combinazione con azitromicina (n=53). Un prolungamento del QTc>=500 millisecondi si è verificato nel 19% dei soggetti trattati con HCQ in monoterapia e nel 21% dei soggetti trattati con HCQ in combinazione con azitromicina. Un paziente del gruppo HCQ+azitromicina con un prolungamento dell’intervallo QT ha sviluppato torsioni di punta e successivamente altre aritmie ventricolari.
– Bessière et al. Studio osservazionale in cui il prolungamento del QT è stato valutato sui soggetti ricoverati in UCT e trattati con HCQ in monoterapia (n=18; 45%) o in combinazione con azitromicina (n=22, 55%). In un periodo d trattamento tra 2 e 5 giorni un allungamento del QTc è stato osservato complessivamente nel 36% dei soggetti; il 33% dei soggetti trattati con HCQ in monoterapia ha avuto un prolungamento del QTc>=500 millisecondi rispetto al 5% dei soggetti trattati con la sola HCQ.
Ci sono, infine, una serie di altri piccoli studi osservazionali che hanno valutato in maniera retrospettiva l’utilizzo di HCQ, da sola o in combinazione con azitromicina.
Tuttavia l’assenza di un gruppo di controllo e le numerose criticità metodologiche rappresentate da bias di selezione e di valutazione degli endpoint (con un evidente rischio di un immortal time bias) rendono difficilmente interpretabili i risultati.
L’accumularsi di queste nuove evidenze cliniche relative all’utilizzo di idrossiclorochina nei soggetti con infezione da SARS-CoV-2 sembra indicare un beneficio in termini di efficacia sempre più incerto e un profilo di sicurezza gravato da potenziali rischi. In attesa di acquisire ulteriori evidenze da studi randomizzati, l’attuale scenario impone pertanto l’adozione di misure restrittive a tutela della sicurezza dei pazienti.
Estratto di un report Aifa. Qui il report integrale.