Mentre negli Stati Uniti si sono registrati tre casi di influenza aviaria H5N1 nell’essere umano e aumentano le prove che è possibile infettarsi bevendo latte crudo contaminato, in Messico un uomo che soffriva anche di altre patologie è morto a causa dell’aviaria ma di un virus diverso, denominato H5N2.
Questa particolarità, secondo il professore di Igiene all’Università degli Studi di Milano e direttore dell’Irccs Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio di Milano, Fabrizio Pregliasco, è un aspetto che deve metterci in allerta.
Ecco perché e cosa dicono anche altri esperti.
L’INFLUENZA AVIARIA NEGLI STATI UNITI
Secondo gli ultimi aggiornamenti dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), l’influenza aviaria H5 è diffusa negli uccelli selvatici di tutto il mondo e, negli Stati Uniti, è responsabile di numerosi focolai nel pollame e nelle mucche da latte, oltre che di diversi casi nei lavoratori del settore lattiero-caseario.
In particolare, quest’anno nell’uomo sono stati identificati 3 casi del virus H5N1, non collegati tra loro, ma tutti in seguito all’esposizione a mucche da latte, il che confermerebbe la trasmissione mucca-persona. Due avevano sintomi di congiuntivite, mentre il terzo presentava anche sintomi respiratori.
I segni e i sintomi riportati delle infezioni da virus dell’influenza aviaria negli esseri umani, spiegano i Cdc, variano da nessun sintomo o malattia lieve – come arrossamento degli occhi (congiuntivite) o lievi sintomi respiratori superiori simili a quelli dell’influenza -, a gravi (come polmonite che richiede il ricovero in ospedale), che febbre o sensazione di febbre, tosse, mal di gola, naso che cola o chiuso, dolori muscolari o corporei, mal di testa, affaticamento e mancanza di respiro o difficoltà respiratorie.
Sono, invece, meno comuni diarrea, nausea, vomito o convulsioni.
IL CASO DEL SOTTOTIPO H5N2 IN MESSICO
Ieri, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha invece confermato la prima morte umana nel mondo causata dal virus H5N2, un sottotipo diverso rispetto al più noto H5N1. È avvenuta ad aprile in Messico e si trattava di una persona già con precedenti complicazioni di salute che, in seguito all’infezione ha sviluppato febbre, respiro corto, diarrea, nausea e malessere generale.
A differenza dei casi negli Stati Uniti, però, oltre a trattarsi di un virus diverso, a quanto pare non c’era stato alcun contatto con animali infetti. “Sebbene la fonte di esposizione al virus in questo caso sia attualmente sconosciuta, il virus A(H5N2) è stato segnalato nel pollame in Messico”, ha dichiarato l’Oms in un comunicato.
L’Oms ritiene comunque che il rischio attuale per la popolazione generale sia basso. Il ministero della Salute messicano ha inoltre precisato che non ci sono prove di trasmissione da persona a persona e che altre persone entrate in contatto con la vittima sono risultate negative.
RISCHIO MUTAZIONI E ADATTAMENTO
Da tempo gli scienziati sono in allerta per i cambiamenti del virus che potrebbero indicare che si sta adattando per diffondersi più facilmente tra gli esseri umani. Per Andrew Pekosz, esperto di influenza dell’Università Johns Hopkins, “continua a suonare il campanello d’allarme che ci impone di essere molto vigili nel monitoraggio di queste infezioni, perché ogni diffusione è un’opportunità per il virus di cercare di accumulare quelle mutazioni che lo rendono in grado di infettare meglio gli esseri umani”.
Pekosz ha anche ricordato che dal 1997 i virus H5 hanno costantemente dimostrato una propensione a infettare i mammiferi più di qualsiasi altro virus dell’influenza aviaria.
IL PARERE DI PREGLIASCO
In Italia, dello stesso avviso è il virologo Pregliasco, che commentando il caso del Messico si è soffermato sulle modalità di trasmissione: “Da quello che emerge la vittima non aveva avuto contatti con animali infetti. E dunque potremmo trovarci di fronte a un contagio uomo-uomo”.
Il timore dell’esperto è che “la situazione potrebbe essere la punta di un iceberg e nascondere una diffusione più ampia a livello animale con il rischio di un possibile contagio”. E, dunque, l’unica misura da prendere è quella della “sorveglianza epidemiologica che comprende anche l’eventuale copertura vaccinale per il personale a rischio”.
Come ha scritto Start, i vaccini contro l’influenza aviaria per gli animali esistono già, mentre a quelli per l’uomo i ricercatori ci stanno lavorando “per ogni evenienza”, ma si procederà al “ritocco finale” solo se ritenuto indispensabile. Finora però ci si era concentrati sul tipo H5N1, tuttavia, secondo Pregliasco, una risposta rapida potrebbe essere offerta dalla tecnologia a mRna, già sfruttata per i vaccini anti-Covid di Pfizer e Moderna.
COSA DICE L’IZSVE
Calogero Terregino, direttore del Centro di Referenza Europeo per l’Influenza Aviaria presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), ha rassicurato sul fatto che anche se nel caso del Messico si tratta di un ceppo diverso, questo “non modifica più di tanto la situazione”.
Tra l’altro, in Europa, non sono stati riscontrati né il virus H5N2 del caso messicano né il virus H5N1 nei bovini.
Quello che, invece, sottolinea Terregino è il ritardo con cui è stata confermata l’infezione avvenuta in Messico e altrettanto importante sarà chiarire la fonte del contagio.