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Anticorpi Monoclonali Sottovarianti

A che punto sono i monoclonali in Italia?

Ecco cosa dicono i dati del rapporto Aifa sull’utilizzo degli anticorpi monoclonali per il Covid in Italia e le ultime novità

 

Notizie sempre più incoraggianti sugli anticorpi monoclonali per combattere il Covid, ma l’Italia continua ancora a usarli troppo poco (specialmente in alcune regioni). Da marzo 2021 l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha comprato 40 mila dosi, ma fino a oggi ne sono state usate la metà.

LE ANTICIPAZIONI DI PALÙ (AIFA)

“Si stanno oggi valutando nuovi monoclonali diretti contro la proteina S, la stessa utilizzata per indurre risposta anticorpale con i vaccini, e in grado di neutralizzare con altissima efficacia il virus, bloccando l’infezione e non solo la malattia”, a dirlo è stato il presidente dell’Aifa, Giorgio Palù, in audizione in Commissione Affari Costituzionali del Senato sul Ddl conversione decreto-legge numero 172 su obblighi vaccinali e rafforzamento certificazioni verdi Covid-19.

COME SONO STATI USATI FINORA I MONOCLONALI IN ITALIA

“Siamo ricorsi all’uso emergenziale di anticorpi monoclonali, farmaci per persone colpite dal virus nelle prime fasi dell’infezioni non oltre i primi 5 giorni da inizio dei sintomi a febbraio 2021”. In quel momento, ha spiegato Palù, “sono stati autorizzati quelli di diverse aziende e altri sono ancora oggetto di valutazione, ma questo impiego è stato limitato da inadeguatezza logistica, perché richiedono infusione endovena per un’ora e osservazione per un’ora e questo avviene quasi sempre in regime ospedaliero”.

COSA CAMBIERÀ E COSA NO

“Credo – ha aggiunto il presidente dell’Aifa – che presto avremo a disposizione, monoclonali somministrabili per via sottocutanea o intramuscolare e in questo caso si potrà intervenire a casa del paziente, senza intasare ospedali e pronto soccorso”.

I monoclonali, ha poi specificato Palù, “andranno sempre somministrati entro 72 ore dall’esordio della malattia”.

L’ITALIA LI USA ANCORA (TROPPO) POCO

“Una sola dose di anticorpi monoclonali, somministrata al paziente con Covid-19 nei primi tre giorni di infezione, in una sola ora riduce di oltre l’80% il rischio di ricovero ospedaliero: non solo evita la malattia severa, quindi la terapia intensiva o addirittura il decesso, ma costa infinitamente meno di un ricovero. Eppure, in Italia in alcune regioni i monoclonali non sono stati utilizzati, addirittura sono stati trasferiti in altre regioni per evitare che scadessero”. Sono le parole in un’intervista ad Avvenire di Evelina Tacconelli, professore ordinario di Malattie infettive e direttore della clinica di Malattie infettive dell’azienda ospedaliera universitaria di Verona, responsabile del gruppo di ricerca sulle infezioni resistenti agli antibiotici dell’università di Tübingen in Germania.

COSA DICONO I DATI

Secondo l’ultimo monitoraggio dell’Aifa sugli anticorpi monoclonali per il Covid, come nel caso delle vaccinazioni, il tasso di utilizzo varia da regione a regione.

La regione in testa per numero di somministrazioni è appunto il Veneto con 3.703 persone inserite nei registri di monitoraggio. Seguono Lazio (2.903), Toscana (2.463) e Lombardia (1.297).

Fanalino di coda (meno di 300), invece, per Calabria, Umbria, Basilicata, Sardegna, Provincia di Trento, Molise, Provincia di Bolzano.

Tuttavia, scrive Repubblica, che in Italia l’uso dei monoclonali è triplicato in un mese e mezzo: “da 500 somministrazioni al giorno a oltre il triplo, cioè 1.870”. In totale, sono state 19.386.

Da marzo 2021 l’Aifa ha comprato 40 mila dosi, ma fino a oggi ne sono state usate la metà.

NOVITÀ IN ARRIVO

La professoressa Tacconelli, oltre a fornire i dati sugli ottimi risultati raggiunti dai monoclonali, ha fatto sapere che “stanno arrivando anticorpi monoclonali in grado anche di fare prevenzione prima del contagio; e altri ancora potranno essere utilizzati subito dopo un possibile contagio, sempre per prevenire”.

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