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Pnrr Università Ricerca

A che punto siamo sul Pnrr Università e ricerca?

L'intervento di Alessandra Servidori, docente di politiche del lavoro, componente del Consiglio d’indirizzo per l’attività programmatica in materia di coordinamento della politica economica presso la presidenza del Consiglio

 

Il Pnrr rivolto al MUR ha riguardato in particolare le strutture: nel 2022 sono stati infatti banditi 6,08 mld di € (praticamente 3/4 di tutto il FFO 2022), per il prossimo triennio [partenariati, centri nazionali, ecosistemi e infrastrutture].

In pratica, sono stati assegnati oltre metà di tutti i fondi Pnrr Mur.

Alcuni elementi saltano agli occhi: le due partite più significative (centri nazionali ed ecosistemi, 3 mld di €), pur prevedendo bandi competitivi sono stati gestiti con logiche perlomeno particolari: in un caso con un numero di candidature identico ai vincitori, nell’altro con un numero molto simile (e un’assegnazione ad un numero inferiore, 11 invece di 12).

Tra le università e con il Mur vive evidentemente un dialogo, anche sugli ecosistemi, dove ci sono state prevalenti aggregazioni territoriali (gli atenei milanesi sganciati da quelli lombardi, alcuni anche in più progetti; larga parte dei lombardi non finanziati, come pugliesi e campani).

Nel bando Infrastrutture si è avuta un’assegnazione parziale e a realtà più numerose delle preventivate.

Vero è che sul sistema dell’università e della ricerca è arrivata una massa di risorse, che crea un circuito esterno (reti, hub, poli, centri ricerca su Fondazioni) e riguarda una nuova stagione di precariato, senza prospettive e soggetta a norme anche più stringenti di quelle dello scorso decennio. Rischiamo di radicalizzare le divergenze.

Nonostante la distribuzione anche al meridione, la concentrazione di risorse in atenei e realtà resi forti nell’ultimo decennio prosegue e anzi si rafforza. Al termine del Pnrr si rischia non solo di mantenere le sperequazioni post-Gelmini, ma di aumentarle significativamente, come di incrementare differenze e articolazioni negli Enti di ricerca nel sistema complessivo (generalizzando dinamiche innescate con fondazione IIT, Humantecnopole e Biotecnopolo di Siena).

Nell’università e nella ricerca i mancati interventi anche in parte nel Pnrr e l’assenza di risorse aggiuntive dello Stato pesano alquanto. La curvatura del Pnrr su ricerca e impresa in ogni caso mantiene e anzi rilancia le fratture determinate da Gelmini, DL 49 e distribuzione premiale dei fondi, per esempio, l’assenza di un concreto e reale diritto allo studio al quale oggi è legittimo non rivolgere il calo significativo delle iscrizioni all’Università.

Dopo il recupero di immatricolazioni nel primo anno di pandemia (330mila), lo scorso anno si è registrato un calo del 3%, che probabilmente continuerà; l’aumento del FFO con risorse solo per l’assunzione di personale rischia di squilibrare nei prossimi anni i bilanci degli atenei, spingendo a riequilibrare con una nuova tornata di aumento delle tasse; la distribuzione del Fondo di Finanziamento Ordinario in mancanza di logiche perequative crea problemi perché nell’ultimo decennio la quota base del FFO si è ridotta dal 70% a meno del 50%, nei prossimi anni è data in ulteriore calo, crescendo quote premiali dirette e indirette: la differenza tra atenei si allarga.

I fondi di finanziamento ordinario degli Epr sono purtroppo insufficienti: la dotazione finanziaria complessiva ha subito tagli progressivi per più di un decennio. Nonostante dal 2016 sia iniziata una lievissima inversione di tendenza, i fondi ordinari degli Epr restano cronicamente sottodimensionati rispetto alle ordinarie attività di ricerca, la cui piena attuazione è garantita unicamente dalla partecipazione a bandi e progetti di ricerca internazionali il cui finanziamento è divenuto nel tempo parte rilevante e in alcuni casi maggioritaria dei budget complessivi gestiti dagli Enti di ricerca.

Gli squilibri del personale: nonostante l’ultima finanziaria (860 mln di € da qui al 2026 su assunzioni), il personale delle università è significativamente sotto-dimensionato, sia docente sia TAB (secondo relazione di accompagnamento ultima legge di bilancio, 45mila unità docenti e altrettanti PTA).

L’estensione del sistema universitario con il Pnrr avviene tutta su ricerca (NON SU ISTRUZIONE), con strutture fuori dal perimetro delle università e degli Enti di ricerca. Non c’è intervento su personale di ruolo e neanche accompagnamento o incentivi (come per esempio nel Ministero della Giustizia).

Analogo il sottodimensionamento degli Epr la cui tenuta complessiva negli anni è stata principalmente il frutto delle politiche di stabilizzazione del precariato storico. Nonostante ciò, anche con gli incrementi prospettati nell’ultima legge di bilancio (100 mln di € per i soli enti vigilati Mur a decorrere dal 2025 e 60 mln di € per il riordino del Cnr) senza una chiara destinazione dei fondi che hanno come obiettivo l’assunzione di personale di ruolo per far crescere la consistenza complessiva degli addetti alla ricerca del Paese, sarà difficile invertire la tendenza.

Alla debolezza strutturale dei piani nazionali di ricerca si deve aggiungere l’assenza di un coordinamento generale delle politiche e del finanziamento degli Epr la cui vigilanza è attualmente in capo a 7 diversi dicasteri. Incredibile a questo proposito che gli investimenti per il personale contenuti nella legge di bilancio 2022 siano in via esclusiva destinati al personale degli Epr vigilati dal Mur.

Si rischia una ripresa e radicalizzazione dei percorsi di Autonomia, con un Pnrr che accompagna il processo (divergenze tra atenei, diffusione fondazioni private, creazione di un sistema di ricerca parallelo a regime privatistico, in competizione per l’accaparramento delle risorse con quello pubblico delle università e degli enti di ricerca).

Gli atenei che sono rafforzati sono soprattutto quelli di punta, liberare lacci e lacciuoli dell’attuale sistema nazionale, con la radicalizzazione dell’autonomia (art. 1 comma 2 della legge 240 del 2010), la flessibilizzazione di SSD e piani di studio, la riduzione del ruolo dell’Anvur.

In questo quadro, sarà importante sviluppare un’azione capillare di osservazione critica sull’implementazione concreta dei progetti Pnrr, monitorando la creazione di nuovi hub, fondazioni e strutture, la loro configurazione normativa e la loro gestione concreta, i rapporti di lavoro che saranno realmente instaurati e la loro forma (come la distribuzione di risorse e compensi nel personale universitario). Un impegno a cui sono chiamate necessariamente tutte le realtà scientifiche, sindacali, associative, di riflessione e confronto del mondo universitario.

La nuova bolla di precariato che si sta gonfiando con queste risorse, inoltre, sarà inevitabilmente dispersa su molteplici strutture e renderà necessario tanto rilanciare sportelli e interventi di supporto diretto alla loro condizione quanto sviluppare movimenti di organizzazione di queste figure a tempo determinato e atipiche, oltre che fondamentale riprendere le richieste di allargamento degli organici di ruolo negli atenei e quindi di stabilizzazione di queste figure.

In ogni caso, il peso del Pnrr sul Sistema universitario e quello degli enti di ricerca (intrecciato con le diverse revisioni normative a esso connesse) rende prioritario focalizzare l’attenzione di tutti, a partire da noi stessi, sulla salvaguardia dei Sistemi nazionali dell’università e della ricerca, che proprio oggi con queste nuove risorse rischiano di esser divaricati ulteriormente, costruendo un sistema formativo e della ricerca stratificato e gerarchico, in cui i modelli competitivi e di new public management eroderanno ulteriormente e significativamente l’università se ovviamente non si cambia registro.

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