Dietro lo scenario toscano di una vittoria netta del cosiddetto campo largo della sinistra, alternativa al centrodestra nazionale, c’è un mondo sottosopra – per dirla letterariamente col generale Roberto Vannacci – che merita qualche attenzione. E rende le immagini meno nitide dell’apparenza, o di un approccio sommario.
Il governatore regionale appena confermato nella persona di Eugenio Giani, osteggiato dal partito delle 5 Stelle nella passata legislatura, e già ingombrante di suo per le “difficoltà” ammesse da Giuseppe Conte nell’adesione alla sua ricandidatura, ha avuto l’inconveniente, diciamo così, di vincere riducendo però al 4 per cento, ancora meno delle Marche, il movimento dell’ex presidente del Consiglio. Che, come paralizzato da un risultato peggiore di quello che aveva forse già messo nel conto, pur partendo dal 7 per cento delle elezioni regionali di cinque anni e non dall’11 delle elezioni politiche di tre anni fa, ha declinato l’invito a partecipare alla festa fiorentina del governatore confermato. Ha preferito leccarsi metaforicamente le ferite a Roma, cioè a casa.
Non vorrei essere o apparire prevenuto, e persino menagramo, ma ho la sensazione che il pur navigato Giani non avrà vita facile né formando la giunta regionale né attuando un programma necessariamente più abbozzato che concordato. Necessariamente, perché a volerlo definire meglio il campo largo si sarebbe subito ristretto.
Avrà, Giani, vita difficile anche perché il 4 per cento e rotti delle 5 Stelle di Conte è meno della metà del quasi 9 per cento conquistato dalla “casa riformista” di Matteo Renzi. Che in Toscana gioca a casa e non è tipo da rinunciare a far valere i suoi voti, per quanto sia imprevedibile.
Sul versante del centrodestra abbiamo la sofferenza della Lega, precipitata dal quasi 22 per cento delle elezioni regionali di cinque anni fa ad un 6 per cento inferiore al quasi 7 che ha consentito a Forza Italia di collocarsi, e non solo di sentirsi al secondo posto, dopo i fratelli d’Italia della premier Giorgia Meloni, nella coalizione nazionale di governo.
La debacle della Lega ha un nome e cognome. Che non è tanto del segretario, vice presidente del Consiglio eccetera eccetera Matteo Salvini, quanto del vice segretario, europarlamentare e già citato generale Roberto Vannacci. Che a furia di combattere il mondo sottosopra dal quale si sente circondato da tempo, già da quando comandava i paracadutisti della Folgore, lo ha importato nella Lega. I cui nuovi elettori scacciano i vecchi, un po’ forse come quelli, sul versante opposto, del movimento già grillino di Conte.
La Meloni potrebbe non risentire del sottosopra leghista, anche se ha problemi non tanto o non solo locali con la Lega nel Veneto, in Lombardia e in qualche parte del Sud, ma in politica – si sa – non bisogna mai dire mai.