Nonostante la maggior parte delle testate tenda a ometterlo, Washington aveva avviato politiche protezionistiche ben prima dello scoppio della guerra commerciale di Donald Trump (proprio nelle ultime ore il nuovo inquilino della Casa Bianca ha annunciato con delle lettere dazi al 25% a Giappone e Corea del Sud), con il più felpato provvedimento orchestrato da Joe Biden che risponde al nome di Inflation Reduction Act, sintetizzabile così: possibilità per le aziende estere di godere dei medesimi sgravi riconosciuti alle rivali autoctone (così da non finire fuori mercato) a patto di impiantare negli States la propria filiera di valore. Tra le multinazionali che avevano piegato la testa, cedendo al ricatto americano anche Samsung Electronics che aveva deciso di aprire un proprio impianto di chip in Texas. Un successo per l’amministrazione democratica, visto che l’attuale industria si regge proprio sulla produzione di semiconduttori. Ma adesso il colosso sudcoreano ha deciso di prendere tempo.
SAMSUNG RALLENTA L’IMPIANTO TEXANO?
A riferirlo è Nikkei Asia, ma in realtà la notizia era già nei fatti: basta infatti scartabellare tra i precedenti annunci per poter verificare che lo stabilimento texano previsto a Taylor sarebbe dovuto entrare in funzione già nel 2024, mentre così non è. E a quanto pare non sarà operativo prima del 2026.
Samsung, già attiva in Texas, in particolare ad Austin, in origine prevedeva nel nuovo stabilimento la produzione di chipset a 4 nanometri, salvo poi aggiornare il piano così da includere anche i nuovissimi chip a 2 nm, più in linea con la domanda legata alle applicazioni AI e high-performance computing.
Tuttavia, anche se proprio a causa dell’Intelligenza artificiale il mondo hi-tech Usa scalpita aumentando almeno su carta il numero di potenziali clienti alla ricerca di fornitori, Samsung negli ultimi mesi ha pigiato il piede sul freno. “La domanda locale di chip non è particolarmente forte e i nodi di processo pianificati da Samsung alcuni anni fa non corrispondono più alle attuali esigenze dei clienti”, ha spiegato una fonte a Nikkei. Tutto questo mentre la rivale, Taiwan Semiconductor Manufacturing Co, Tsmc, già a marzo aveva raggiunto un accorto con Donald Trump per 100 miliardi di dollari di investimenti negli Stati Uniti.
I DAZI DI TRUMP FERISCONO SAMSUNG
E sarà proprio Trump a impattare pesantemente con le sue politiche sui bilanci di Samsung. Il gigante sudcoreano si aspetta un calo del 56% su base annua dell’utile operativo del secondo trimestre a causa delle restrizioni statunitensi sulle esportazioni di componenti avanzati in Cina. Samsung Electronics ha stimato che il suo utile operativo raggiungerà 2,9 miliardi di euro. Secondo l’agenzia Yonhap si tratterebbe di un risultato inferiore del 23,4% rispetto alle previsioni medie del mercato. Non è dato sapere se nel computo si sia tenuto conto dei dazi al 25 per cento contro la Corea del Sud.
QUALCHE NUMERO SU SAMSUNG NEGLI USA
Samsung negli Usa ha già oltre 20mila impiegati, destinati a diventare 22mila quando Taylor entrerà in funzione. I sudcoreani sottolineano che dal 1978 a oggi nei 50 Stati hanno già investito non meno di 47 miliardi di dollari e solo per l’hub di chip texani ne avevano messi 13, destinati a diventare 37 miliardi di dollari. In cambio Samsung ha ricevuto un sussidio federale da 4,7 miliardi di dollari assegnato prima dell’insediamento di Trump, lo scorso dicembre, nell’ambito del Chips and Science Act dell’amministrazione Biden per rafforzare l’approvvigionamento americano.
Ma a quanto pare il contesto non ha messo le ali ai piedi alla realtà asiatica. Anzi. Secondo documenti di Samsung C&T, la controllata che si occupa della costruzione dell’impianto, visonati da Nikkei, l’impianto risultava ormai completato al 91,8% già lo scorso marzo. Dopodiché invece di entrare in funzione i lavori sarebbero stati di fatto bloccati.
Non è chiaro cosa stia attendendo Samsung: se voglia restare alla finestra per capire cosa farà la Cina, per vedere come si evolverà la guerra dei dazi o se sia semplicemente concentrata su problemi d’altro tipo tutti interni alla propria realtà, certo è che agendo così sta dimostrando che ancora esistono aziende che pur volendo compiacere le politiche protezionistiche della Casa Bianca non intendono farlo a ogni costo.