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Riarmo Nato, su quali progetti nazionali o europei puntare? L’analisi di militari ed esperti

L’incremento della spesa militare deciso dalla Nato pone l’accento sulla necessità di rafforzare le capacità difensive dell’Alleanza, ma in quali ambiti o programmi andrebbero prioritariamente indirizzate queste risorse, sia a livello nazionale (in Italia) sia a livello europeo? Girotondo di militari ed esperti

Dove destinare i fondi del riarmo Nato?

A conclusione del vertice Nato della scorsa settimana a L’Aja, i 32 Paesi dell’Alleanza Atlantica hanno approvato l’impegno ad aumentare le spese militari a fino al 5% del Pil entro il 2035, ovvero più che raddoppiare l’attuale impegno del 2%.

In particolare gli alleati si sono impegnati ad investire “almeno il 3,5% del Pil” per le spesa della difesa entro il 2035, “per finanziare i requisiti fondamentali della difesa e per soddisfare gli obiettivi di capacità della Nato”, e l’1,5% del Pil per le spese più generali di sicurezza.

Questo obiettivo tradotto in numeri per l’Italia è stimato dalle aziende “tra i 10 miliardi e gli 11 miliardi all’anno per una decina d’anni”, ha spiegato il presidente dell’Aiad Giuseppe Cossiga.

Dunque tate risorse aggiuntive, ma in quali ambiti o programmi andrebbero prioritariamente indirizzate, sia a livello nazionale (in Italia) sia a livello europeo?

Militari ed esperti del settore difesa concordano sulla necessità di adottare un approccio sistemico e coordinato, evitando decisioni affrettate o condizionate da pressioni industria. Tra le aree prioritarie su cui poter investire i nuovi fondi troviamo la difesa aerea missilistica integrata e i servizi spaziali per le forze armate. Nonché la protezione della dimensione cibernetica.

Tutti i dettagli.

I DUBBI DI TRICARICO SUL RIARMO NATO

Dunque, dove investire?

“È la domanda dirimente che purtroppo oggi si pongono solo i giornalisti, i quali “fiutano” il disorientamento dei cittadini e cercano di capire e quindi spiegare perché debbano essere messi in ulteriore sofferenza il welfare, i conti pubblici ed ogni altro legittimo interesse le cui ragioni sono però  evidenti, più comprensibili”, commenta a Startmag il generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare.

“Analoga domanda – prosegue il generale – andrebbe posta al Segretario Generale della Nato oggi, ad Ursula Von del Leyen ieri, quando nessuno dei due, pur avendo fior di staff cui assegnare il compito di dare una seppur complessiva spiegazione di come tale enorme volume finanziario dovesse essere usato, si sono ben guardati, ambedue, dall’avere questo seppur minimo riguardo per i cittadini dalle cui tasche le risorse sarebbero state prelevate”.

“Allora il sospetto che dietro tutto ciò ci possa essere la famelicità del mondo industriale del settore è forte, l’idea che quel mondo abbia veicolato attraverso questi due ventriloqui un asso piglia tutto, una giocata che non ammette storie. Mi auguro che a livello nazionale qualcosa di più serio accada, che si attivi un dibattito strutturato, e che un certo mondo finora disattento alle questioni di difesa e sicurezza si attrezzi con un minimo di consapevolezza, di strumenti conoscitivi, affinché la smettano molti di ripetere pappagallescamente slogan nati chissà dove e testimoni ineccepibili della sciatteria e del dilettantismo di chi oggi dovrebbe indicare la strada”, chiosa l’ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare.

L’ANALISI DI CAMPORINI

Da parte sua il generale Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore della Difesa e dell’Aeronautica militare, rimarca che non vuole “fare un “elenco della spesa, che lascio alle competenze degli Stati Maggiori, piuttosto una riflessione sul metodo, che deve vedere un accurato lavoro di squadra che coinvolga costruttivamente le autorità militari dei singoli paesi”.

“Premesso che nutro un certo scetticismo su questi impegni, assunti in una prospettiva decennale, – sottolinea Camporini – dovendo in ogni caso procedere nell’individuazione delle priorità, occorre procedere mettendo a sistema le esigenze nazionali con quelle complessive e integrate in un quadro europeo, sia sotto l’angolazione Ue, sia sotto quella più ampia della Nato. In entrambe queste prospettive sono stati condotte nel passato analisi per identificare le carenze, indicando le aree in cui i singoli paesi venivano invitati a fare progressi al fine di disporre di uno strumento militare complessivo equilibrato che disponesse delle capacità valutate come essenziali per gli scenari ipotizzati”.

Pertanto, secondo l’ex capo di Stato maggiore della Difesa è “questo il metodo da adottare, perché così facendo anche le risorse finanziarie mobilitate su base nazionale concorrerebbero alla costruzione di quel pilastro europeo essenziale per un dialogo near peer con Washington, così come per l’emersione di una vagheggiata autonomia strategica dell’Unione.”

LE TRE PRIORITÀ INDICATE DA ALEGI

Tornando alle aree che dovrebbero essere interessati dall’incremento della spesa militare dei paesi membri dell’Alleanza Atlantica, “le priorità assolute della difesa europea sono essenzialmente tre”, secondo il professor Gregory Alegi, saggista, docente di storia americana ed esperto di cose aeronautiche.

“La prima, quasi banale, è il ripristino delle scorte e dei magazzini”, evidenzia Alegi ricordando che “con la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, l’Occidente si è autopersuaso che non vi sarebbero più stati conflitti di grandi dimensioni ed ha iniziato a smantellare il proprio sistema di difesa. Dalla rinuncia alla leva al taglio di programmi, dalla chiusura di aeroporti alla riduzione della logistica, tutto è stato fatto in funzione dell’impiego di piccoli reparti iper-specializzati e iper-tecnologici o di operazioni a bassa intensità. La prima lezione dell’Ucraina è che le dimensioni contano ancora, tanto in caso di impiego diretto quanto a sostegno di alleati e amici. Il vantaggio è che scorte e ricambi non richiedono lunghi tempi di sviluppo o rischi di ricerca: basta produrre in maggior numero ciò che già esiste e si conosce. Bisogna iniziare a farlo subito, perché alla fine anche il miglior sistema difensivo è inutile se mancano munizioni, carburante e ricambi”.

RAFFORZARE LA DIFESA AEREA E NON SOLO

La seconda priorità è la difesa aerea secondo il professor Alegi:” Le crisi di questi anni dimostrano che siamo esposti al rischio di attacchi con missili o droni. A prescindere dalle analisi più o meno forzate dei possibili avversari, è chiaro che per fermarli serve comunque un sistema integrato a livello continentale – chiamiamolo Euro Dome, per capirci, attivo 24 ore su 24, 365 giorni l’anno, come d’altra parte è sempre stata la difesa aerea Nato anche in tempo di pace. Le tre componenti essenziali di questo Euro Dome sono quelle di scoperta avanzata, con i satelliti, di guida, con i radar, e di intercettazione, con i missili, tutti legati e coordinati dai centri di controllo. L’Europa possiede in gran parte le tecnologie necessarie per dotarsene nel giro di 5-10 anni”, prosegue l’esperto.

FOCUS SUL DOMINIO CIBERNETICO

Dopodiché “la terza è la dimensione cyber” osserva Alegi evidenziando che “ormai tutto è digitalizzato, ed i dati danno forma non solo alle battaglie ma al funzionamento stesso della società”. Come notato del resto anche dal generale Luciano Portolano, capo di Stato Maggiore della Difesa secondo cui “con l’attuale livello di digitalizzazione, in cui è acclarata la centralità e l’importanza del dato, è essenziale continuare a investire in maniera importante nel dominio cibernetico e negli abilitanti strategici, primo tra tutti quello spaziale, traguardando ai fondamentali fattori di interoperabilità, interconnessione e interscambiabilità”.

È quindi necessario, conclude il professore Alegi “proteggere le reti, tanto in senso fisico quanto informatico, ma anche dotarsi di personale altamente specializzato per contrastare le decine di migliaia di attacchi che già oggi ci vengono indirizzati. Bisogna anche sciogliere i nodi giuridici, che vanno dal generale problema di identificare la fonte degli attacchi a quello specifico di rispondervi entrando nei sistemi per disabilitarli, anche in tempo di pace. In questo settore convergono carenze di ogni genere, dalle materie prime e stabilimenti per produrre i microchip avanzati alla mancanza di personale, fino alla riluttanza dei paesi a condividere informazioni. Ma è anche il settore che diventa di giorno in giorno più critico. Su certi aspetti si può fare qualcosa già oggi, ma per altri non basteranno dieci anni.”

IL PARERE DI MARGELLETTI

“L’idea è che sia un programma armonico. Invece parlare di livello nazionale e di livello europeo, perché andiamo tutti verso la stessa direzione che è una difesa più comune, più integrata” esordisce a Startmag Andrea Margelletti, presidente del Cesi e consigliere del ministro della Difesa Guido Crosetto.

Anche per il presidente del Cesi “sicuramente il primo punto è la difesa aerea. Abbiamo appreso le lezioni della guerra in Ucraina, ma non solo, anche di quelle in Medio Oriente, come la protezione delle città, la protezione delle forze armate sia prioritaria. Pertanto abbiamo bisogno di molti più sistemi di difesa aerea, oltre naturalmente a un numero rilevante di droni e di munizionamento”.

RIGUARDO L’INCREMENTO DELL’ORGANICO DELLA DIFESA

Infine, il tema del rafforzamento dell’organico: “Abbiamo, ad oggi, personale altamente formato, stimato a livello globale, ma in numero inadeguato per sostenere un conflitto come quello in corso russo-ucraino, che comunque ci auguriamo di non dover affrontare mai”, ha messo in luce di recente il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Luciano Portolano.

Secondo Margelletti “il punto vero è quanto le forze armate siano ancora attrattive per i giovani. Non si tratta perciò di quante persone in più dobbiamo prendere, ma di quanti hanno voglia di venire. E qua ogni nazione sta facendo le proprie valutazioni. Basta immaginare e sembra incredibile parlarne nel 2025 che a fronte delle necessità del futuro, alcune nazioni stanno discutendo di reintrodurre la la coscrizione obbligatoria, la leva.”

Tornerebbe in auge anche in Italia l’ipotesi ventilata di una leva obbligatoria? “Con una maniera in maniera completamente diversa”, risponde il presidente del Cesi evidenziando che “non stiamo parlando di una leva per dare ai ragazzi la schiena dritta, come dicono alcuni. Bensì la leva per addestrare giovani al combattimento. Una cosa che è completamente diversa, non per insegnargli a fare il letto, ma per insegnargli ad attaccare una trincea ed eliminare il nemico. Sono cose diverse”.

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