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Questa volta è il Fisco a recapitare un pacco ad Amazon?

Amazon si è accordata con l’Agenzia delle Entrate: per chiudere le contestazioni del Fisco su presunte condotte illecite realizzate tra il 2019 e il 2020 pagherà 511 milioni di euro rispetto all'accusa di frode fiscale da 1,2 miliardi. La somma richiesta tra sanzione e interessi sfiorava però i 3 miliardi di euro

Oltre mezzo miliardo: è la cifra che Amazon, colosso dell’e-commerce fondato da Jeff Bezos, ha accettato di versare nelle casse del Fisco italico per chiudere le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sulle vendite finalizzate tramite la piattaforma americana nel periodo 2019-2021.

COSA CONTESTAVA IL FISCO AD AMAZON

La procura milanese aveva contestato ad Amazon l’ipotesi di reato dichiarazione fraudolenta per non aver dichiarato l’Iva sulle “vendite a distanza” di milioni di prodotti provenienti in gran parte dalla Cina e recapitati a consumatori italiani.

Andando brevemente nel tecnico, la Big Tech statunitense avrebbe mancato di osservare – secondo la tesi dei magistrati requirenti – l’articolo 13 del dl 34/2019 “Crescita”, all’epoca ancora in vigore (è stato superato infatti il 30 giugno 2021 quando l’Italia ha poi adottato la direttiva Ue 2017/2455 sull’imposta sul valore aggiunto per le prestazioni di servizi e le vendite a distanza di beni di attuazione) che le avrebbe imposto di notificare all’Agenzia una serie di dati dei suoi fornitori a pena di diventare “debitore di imposta” al posto loro. Non avendolo fatto è così arrivato il conto da pagare che, tra imposta non dichiarata, sanzioni e interessi superava i tre miliardi di euro (la sola frode fiscale ammontava per i pm a 1,2 miliardi di euro).

L’ACCORDO

Il punto di caduta nella questione è stato arrivare a stabilire che se il bene proveniente dalla Cina e rispetto al quale Amazon era intermediatore giaceva nei magazzini italiani da almeno sette giorni, l’acquisto del consumatore italiano in Italia non integrava più una vendita a distanza e dunque si potevano applicare le regole per gli acquisti sul territorio nazionale. Una volta deciso ciò si è calcolato il debito che Amazon aveva col Fisco sulla base delle vendite che nel periodo considerato non ricadevano nel discrimine.

Amazon da parte sua abbozza ma stiletta pure il nostro Paese: “Questo accordo – fa sapere l’azienda di Seattle – riflette il nostro impegno a collaborare in modo costruttivo con le autorità italiane. Ci difenderemo con determinazione rispetto all’eventuale procedimento penale, che riteniamo infondato. Siamo tra i primi 50 contribuenti in Italia e uno dei maggiori investitori esteri nel Paese […]”, quindi l’affondo: “Contesti normativi imprevedibili, sanzioni sproporzionate e procedimenti legali prolungati incidono sull’attrattività dell’Italia come destinazione di investimento”.

ALTRI FRONTI IN VIA DI CHIUSURA

Nei giorni scorsi – ricordano dal Fatto Quotidiano – Amazon logistica e Amazon Italia transport avevano versato circa 180 milioni per una presunta precedente frode contestata nell’ambito di un’indagine dei pm Paolo Storari e Valentina Mondovì sui serbatoi di manodopera.

Il versamento da parte dell’azienda e la cancellazione del “software-spia, che prima era in mano alla filiale italiana del colosso statunitense, hanno portato i pm Paolo Storari e Valentina Mondovì a chiedere al gip Luca Milani la revoca della richiesta di interdittiva di stop alla pubblicità”, dettaglia l’Ansa.

 

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