Trump non risparmia l’Ue. Il presidente degli Stati Uniti prima annuncia l’imminente introduzione di dazi del 50% nei confronti dell’Unione Europea e poi chiude la porta, teoricamente, ad ogni discussione con Bruxelles. Le tariffe entreranno in vigore il primo giugno e Washington non ha nessuna urgenza di negoziare. Nel mirino la legislazione europea e in parte anche italiana (qui l’approfondimento di Start Magazine).
Ecco fatti, dettagli e approfondimenti (qui l’impatto dei dazi Usa sull’economia europea secondo un rapporto del centro studi di Confindustria).
CHE COSA HA ANNUNCIATO TRUMP SUI DAZI ANTI UE
“L’accordo lo abbiamo già fissato: è al 50%”, dice Trump, rispondendo alle domande della stampa nello Studio Ovale e illustrando la linea dura nella guerra commerciale che si riaccende. La tregua di 90 giorni, destinata a durare fino a luglio con il congelamento dei dazi varati dalla Casa Bianca ad aprile, si sta per sbriciolare. Il presidente degli Stati Uniti assesta il primo colpo con un post sul social Truth: accusa l’Ue e annuncia l’imminente giro di vite. Davanti a telecamere e microfoni, nel pomeriggio americano, rincara la dose. “Tutti ci hanno trattato male negli anni. Con l’Unione Europea abbiamo un grosso deficit. Loro vendono milioni di auto qui, a noi non è stato consentito vendere le nostre auto lì. E’ il momento di giocare nel modo in cui so giocare”, dice promettendo un’ulteriore svolta dopo i risultati a suo avviso già raggiunti. “Abbiamo oltre 12 trilioni di dollari in investimenti promessi”, dice facendo riferimento agli impegni assunti da multinazionali di diversi settori.
LO STATO DEI RAPPORTI TRA USA E UE
La porta è chiusa o c’è uno spiraglio? “Tutti vogliono fare un accordo, sono sicuro che anche l’Unione Europea ora vuole un’intesa a tutti i costi. Vediamo cosa succede. Abbiamo firmato un ottimo accordo con il Regno Unito, abbiamo firmato con la Cina. Abbiamo raggiunto intese eccellenti, l’Unione Europea si è approfittata di noi. Siamo stati fatti a pezzi da tutti i paesi. Ora abbiamo il potenziale per incassare somme mai immaginate, non è mai successo niente del genere nella storia del nostro paese”, aggiunge, fissando paletti chiari: “Ci sono prodotti che non siamo interessati a realizzare, ma vogliamo produrre auto qui”.
DOSSIER AUTO E SMARTPHONE
Auto, ma anche smartphone. Nel mirino di Trump ci sono anche i produttori di telefoni cellulari. La Apple soprattutto, ma non solo, va incontro a tariffe del 25% per apparecchi prodotti in altri paesi e destinati alla vendita negli Usa. “Non riguarda solo Apple ma chiunque fa quei prodotti, anche la Samsung. Se costruiscono impianti qui, non ci saranno tariffe. Tim Cook”, il Ceo di Apple, “ha detto che sarebbe andato a produrre in India. Bene, ma non venderà quei prodotti negli Stati Uniti senza tariffe. Se devono vendere in America, voglio che siano costruiti qui”.
LA STRATEGIA UE
L’Ue mira a tenere aperto il canale di comunicazione. Il commissario europeo al Commercio Maros Sefcovic, dopo aver parlato oggi con le sue controparti americane Jamieson Greer e Howard Lutnick, si affida ai social: l’Unione Europea, dice, “è pienamente impegnata, decisa a garantire un accordo che vada bene a entrambi. La Commissione Europea rimane pronta a lavorare in buona fede. Il commercio tra Ue e Stati Uniti è ineguagliabile e deve essere guidato dal rispetto reciproco, non dalle minacce. Siamo pronti a difendere i nostri interessi”, conclude.
IL PUNTO DEL CORRIERE DELLA SERA
“Un mese e mezzo fa il presidente aveva sospeso le sue tariffe «reciproche» al 20% contro l’Europa, dimezzandole in modo da dar tempo fino al 9 di luglio per arrivare a un compromesso. Ieri eravamo appena a metà della tregua, le trattative erano appena abbozzate, quando è arrivato l’annuncio di nuove barriere oltre il doppio più punitive di quelle del «Liberation Day». Fra Washington e Bruxelles in queste settimane dev’essere andato in scena un dialogo dell’assurdo. Gli emissari delle due parti devono essersi parlati in lingue diverse di argomenti diversi, illudendosi di parlare delle stesse cose – ha scritto Federico Fubini del Corriere della sera – Gli europei sono funzionari specializzati, si sono seduti al tavolo disarmati e operano con un software che risale agli anni ‘90; per loro un negoziato sugli scambi è un processo altamente tecnico, giuridico fino all’ultimo comma, sempre con l’obiettivo di arrivare a un accordo di libero scambio. Gli emissari di Trump invece sono il loro opposto antropologico. Sono delegati personali del presidente e per loro il negoziato è una prova di forza, la pistola sempre sul tavolo dello studio ovale; vogliono smantellare le tasse sul Big Tech come quella in vigore anche in Italia, disinnescare le regole di Bruxelles sul digitale, strappare un impegno dei grandi Paesi europei a tagliare fuori i prodotti cinesi. Non puntano a un accordo di libero scambio, ma un passo indietro politico dell’Europa”.
LE LAMENTELE USA CONTRO UE E ITALIA (estratto da un articolo di Start Magazine di aprile 2025)
Le rimostranze commerciali americane nei confronti del nostro paese non sono poche, come si evince dal 2025 National Trade Estimate Report redatto dall’Ufficio del rappresentante del Commercio degli Stati Uniti (Ustr) e pubblicato lo scorso 31 marzo.
Il rapporto descrive le barriere commerciali con cui gli esportatori americani devono fare i conti; tra queste, ce ne sono anche alcune propriamente italiane, al di là di quelle alzate dalla Commissione europea soprattutto con i regolamenti sull’economia digitale.
IL GLIFOSATO
Nel 2023 l’Unione europea ha rinnovato per dieci anni l’approvazione all’utilizzo del glifosato, un erbicida che l’Organizzazione mondiale della sanità considera probabilmente cancerogeno ma non l’Agenzia europea per le sostanze chimiche.
“Dopo l’approvazione di una sostanza attiva nell’Ue, gli stati membri controllano l’autorizzazione dei prodotti formulati che la contengono”, si legge nel rapporto dello Ustr, e possono dunque limitare l’uso di prodotti contenenti glifosato. Nonostante il rinnovo dell’approvazione del glifosato nel 2023, “alcuni stati membri continuano a vietare parzialmente o interamente il glifosato, tra cui Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi”.
I SERVIZI AUDIOVISIVI
Il documento analizza anche la regolazione italiana sui media audiovisivi, considerata una barriera commerciale. La legge italiana, infatti, prevede che il 50 per cento delle ore di trasmissione venga destinato a produzioni europee e che alle produzioni italiane venga garantito il 16,6 per cento delle ore di trasmissione sui canali televisivi commerciali. Inoltre, le piattaforme nazionali di video on-demand devono garantire che il 30 per cento dei loro cataloghi sia composto da contenuti europei realizzate negli ultimi cinque anni, e che il 15 per cento dei cataloghi sia dedicato a opere italiane prodotte da produttori indipendenti negli ultimi cinque anni.
Le principali società attive nella distribuzione di film e serie sono statunitensi, come Netflix, Amazon, Apple, Disney e Paramount.
“Secondo la legge italiana”, scrive l’Ustr nel rapporto, “le emittenti commerciali devono investire annualmente il 12,5 per cento dei loro ricavi nella produzione di opere europee indipendenti. La metà di questi fondi è riservata alle opere italiane. I fornitori di video-on-demand stranieri e nazionali devono destinare il 16 per cento dei loro ricavi annuali netti generati in Italia alla produzione di opere europee indipendenti. Il 70 per cento dell’obbligo di investimento deve essere riservato a opere italiane prodotte da produttori indipendenti italiani”.
LA LUNGHEZZA DEI PROCESSI AUTORIZZATIVI
Parlando di barriere agli investimenti, il rapporto riporta le lamentele delle aziende americane per la lunghezza e la complessità dei processi autorizzativi in Italia per i progetti energetici e infrastrutturali. “Una volta ottenute le licenze o i permessi”, si legge, “le aziende statunitensi hanno dovuto affrontare ostacoli legali e burocratici che hanno impedito loro di ottenere le concessioni”.
IL SETTORE SANITARIO
Il report si focalizza poi sulla situazione del settore sanitario italiano, con le società statunitensi che devono fare i conti con “un contesto imprenditoriale imprevedibile […], che comprende un’attuazione molto variabile delle complesse politiche di prezzi e rimborsi da parte del governo italiano”, oltre che con i ritardi nei rimborsi dei prodotti farmaceutici e nei pagamenti dei dispositivi medici.
Inoltre, “il tempo medio che gli ospedali pubblici italiani impiegano per pagare i fornitori di dispositivi medici continua a superare il periodo massimo consentito dalla normativa europea. Gli operatori del settore statunitensi continuano a chiedere al governo italiano di affrontare questi problemi”.