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Perché Nestlé vuole sbarazzarsi di vitamine e integratori

Nestlé continua a voler sfoltire il suo portafoglio per concentrarsi su un numero minore di marchi più redditizi. E questa volta nel mirino è finita la sua divisione di vitamine e integratori, che non incontra più l'interesse dei consumatori, sempre più orientati verso prodotti supportati da rigorose verifiche scientifiche. Fatti, numeri e commenti

 

Dopo i prodotti a base di ingredienti di origine vegetale alternativi alla carne di Garden Gourmet e la divisione che si occupa di acque minerali quali Perrier, San Pellegrino, Acqua Panna e Levissima, Nestlé sta ora valutando la cessione di una parte significativa del proprio portafoglio di vitamine e integratori, un segmento da 1,25 miliardi di dollari annui che non risponde più alle attese del gruppo.

La crescita della domanda per prodotti premium e scientificamente comprovati, unita a un contesto normativo in evoluzione e a un mercato molto frammentato, sta ridisegnando l’interesse degli operatori industriali e orientando l’attenzione verso i fondi di private equity.

VITAMINE E INTEGRATORI NEL MIRINO DI NESTLÉ

Nel luglio scorso, ricorda Reuters, Nestlé ha avviato una revisione strategica delle sue attività a più bassa crescita nella categoria vitamine, minerali e integratori, un processo confermato dopo l’arrivo del nuovo Ceo Philipp Navratil. In particolare, l’azienda ha inserito tra i marchi potenzialmente cedibili Nature’s Bounty, Osteo Bi-Flex, Puritan’s Pride e la divisione statunitense di private label, tutti posizionati nel mercato mainstream.

Il gruppo svizzero mantiene invece la volontà di concentrarsi sui marchi premium, come Solgar, che spazia dalle vitamine tradizionali ai prodotti per la salute del cervello, dei capelli e per la gestione dello stress.

Nestlé aveva acquisito questi marchi nel 2021 per 5,75 miliardi di dollari. Ora, però, raggiungere valutazioni simili sarà difficile.

COSA CERCANO I CONSUMATORI

A spingere Nestlé in questa direzione è un cambiamento nelle abitudini dei consumatori. Secondo il rapporto 2024 “Future of Wellness” di McKinsey e numerose testimonianze di esperti, i consumatori stanno infatti privilegiando integratori con ingredienti “scientificamente provati”. Questo spostamento sta quindi generando un vantaggio competitivo per i brand che investono in ricerca e test clinici.

Marley Brocker, analista di IBISWorld, ha evidenziato che il mercato sta vivendo “una enorme ondata” di interesse verso prodotti supportati da rigorose verifiche scientifiche, sottolineando come il settore degli integratori si stia ormai sovrapponendo alla più ampia categoria del wellness.

GLI OPERATORI INDUSTRIALI MANTENGONO CAUTELA

I principali concorrenti internazionali, tra cui Danone e Unilever, stando a Reuters, mostrano scarsa propensione verso i marchi di massa. Un banchiere d’investimento ha spiegato all’agenzia di stampa che entrambe le aziende stanno adottando un approccio più prudente, complice la severità delle norme europee che limitano affermazioni ambiziose sui benefici per la salute.

Inoltre, una fonte di Unilever ha ribadito che eventuali acquisizioni devono riguardare brand “di scienza e tecnologia” attivi in settori ad alta crescita. Anche gli analisti di mercato restano prudenti. David Hamlette di Mintel, per esempio, ha osservato che nessuno dei marchi allo studio di Nestlé supera il 2,1% del mercato statunitense delle vitamine, un indicatore della forte frammentazione e della difficoltà di ottenere ritorni immediati.

INCOGNITA RFK JR.

A tutto ciò si aggiunge che il quadro regolatorio statunitense potrebbe presto diventare più restrittivo. Lo scorso marzo, il segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr. ha annunciato l’intenzione di rafforzare il percorso GRAS, che permette la commercializzazione di nuovi additivi alimentari senza revisione formale della Food and Drug Administration (Fda). La proposta non è ancora stata pubblicata, ma gli osservatori la ritengono imminente.

Il settore ha già manifestato preoccupazioni. Il Council for Responsible Nutrition si oppone a un irrigidimento del GRAS e la sua rappresentante Andrea Wong sostiene che la priorità dovrebbe essere “fornire risorse” all’Fda per applicare le norme già vigenti, mentre un portavoce del dipartimento della Salute Usa ha replicato che un sistema più severo “alla fine gioverebbe al mercato degli integratori alimentari”.

UN MERCATO ATTRATTIVO PER IL PRIVATE EQUITY

Nonostante la cautela degli operatori industriali, secondo Reuters, il mercato globale degli integratori rimane molto dinamico. Grand View stima che il settore passerà dai 192,7 miliardi di dollari del 2024 ai 414,5 miliardi del 2033 e queste prospettive potrebbero attirare i fondi di buyout. Alex Evans di L.E.K. Consulting ritiene che i fondi possano essere tra i principali interessati, anche se privi delle sinergie operative proprie dei grandi gruppi industriali.

Per Kai Lehmann, portfolio manager di Flossbach von Storch, invece, “il private equity sembra essere l’opzione più probabile, e sì – le valutazioni potrebbero risentirne”.

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