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Perché la stampa internazionale ha stropicciato il vertice Trump-Putin

Vedremo nei prossimi giorni la reale portata degli accordi (se mai ce ne sono stati) conclusi. Al momento gli occhi sono tutti puntati su Trump. Ecco perché. Il commento di Polillo

Più che comprensibile e giustificato lo sconcerto del Kyiv Indipendent, che scrive di un summit “ripugnante, vergognoso e inutile”. Non era facile parlare del vertice di Anchorage mentre sulle città dell’Ucraina cadevano altri 85 droni ed un missile balistico. Com’era avvenuto del resto nei giorni precedenti. Alla faccia di una possibile tregua – il format coreano – evocata da più parti, durante la vigilia.

Ma che dire del Politico che si sofferma sul “trionfo” di Putin. O Le Figaro che ne giudica “spettacolare” il “ritorno” sulla scena internazionale. Mentre El Pais descrive il leader russo come “uscito dall’isolamento internazionale”. Semplice avversione nei confronti di Donald Trump o dovere di cronaca di fronte ad una vicenda, per molti versi, sconcertante? Per quanto ci riguarda rimaniamo guardinghi ed in trepida attesa. Wait and see, sperando che i giorni successivi possano ridimensionare il “resistibile” successo del nuovo Zar. E ridare, non tanto a Donald Trump, quanto agli Stati Uniti, quello smalto che merita la principale potenza mondiale, perno dell’equilibrio occidentale.

Si sa poco di ciò che è avvenuto in tre ore di discussione tra le due delegazioni, guidate dai rispettivi Presidenti. Ma già il fatto che quel tempo sia risultato dimezzato rispetto alle ipotesi della vigilia (6 o 7 ore) non depone a favore di una possibile intesa. Nei giorni precedenti, poi, si era assistito ad un progressivo scivolamento verso il basso, da parte dell’establishment americano. Dalle minacce di colpire duramente un‘economia, come quella russa, già in difficoltà, con nuove e più incisive sanzioni, si era passati alle ipotesi di una semplice ricognizione. “Modalità di ascolto” aveva precisato lo stesso Trump, facendo, al tempo stesso balenare, possibili accordi di cooperazione nei campi più disparati.

Silente, invece, la risposta di Putin. Quasi si trattasse di una questione che non riguardasse quel milione di morti di suoi concittadini, che sono stati finora il prezzo di quella sciagurata invasione. In questa diversità di atteggiamenti, qualcosa che dà da pensare. Era come se la Russia fosse il paese egemone, capace di imporre le proprie condizioni. Un evidente controsenso considerati i reali rapporti di forza militari, economico e demografici. Fosse così anche per l’immediato futuro, risulterebbero evidenti i limiti della strategia politica seguita dal Tycoon. Quel suo voler perseguire una solitaria politica di potenza, mentre il leader del Cremlino, prima di recarsi all’incontro, si era preoccupato di discutere con i suoi possibili alleati: vicini e lontani. Non solo quelli storici, ma quelli acquisiti recentemente nel grande mondo del Sud globale o dei BRICS.

Analoga fermezza, contro le oscillazioni di Trump, Putin aveva dimostrata nel ribadire una posizione che data dall’inizio dell’invasione. Non la tregua, ma la pace, tornerà ad essere a portata di mano solo quando saranno “eliminate le cause alla radice” della guerra stessa, secondo la formula più volta usata dal Cremlino e ribadita anche in occasione del vertice di Anchorage.

Formula sibillina dal confine incerto, destinata a racchiudere un universo indistinto. Si può infatti pensare al diritto della Russia di intervenire militarmente in qualsiasi parte del mondo, nei casi in cui le comunità russofili fossero ritenute in pericolo. Come avvenuto in Georgia, in Crimea e nel Donbass. Come pure alla sua pretesa di tornare alla situazione ante Grande guerra, prima della cessione da parte di Lenin dei Paesi baltici della Finlandia, della Polonia, della Bielorussia e della stessa Ucraina, con il trattato di Brest-Litovsk, del 1918. A seguito dell’armistizio tra la Russia rivoluzionaria e gli Imperi centrali.

Il tutto accompagnato da una profonda insofferenza nei confronti della NATO e dei Paesi europei, accusati ancora una volta di attentare ad una pax dagli incerti connotati. Diffidati quindi dall’agire in difesa di una pace “giusta e duratura”. Come se quel problema non coincidesse anche con la sicurezza del Vecchio Continente, di fronte al rischio di ulteriori violazioni del diritto internazionale, specie se Putin uscisse vincitore dal confronto in atto.

Sono queste le ragioni che hanno indotto la grande stampa internazionale a celebrare, seppure con evidenti preoccupazioni, la figura di Vladimir Putin. Rispetto al quale Donald Trump è risultato, come minimo, dipendente. Ed anche in un certo imbarazzo: come quando ha voluto sottolineare l’endorsement nei suoi confronti da parte del nuovo Zar. Fossi stato lui alla Casa Bianca la guerra non sarebbe scoppiata. Dimenticando che, in diplomazia, un riconoscimento di questa natura è come un sigaro. Che non si nega ad alcuno.

Vedremo quindi nei prossimi giorni, quando la nebbia si diraderà, la reale portata degli accordi (se mai ce ne sono stati) conclusi. Al momento gli occhi sono tutti puntati su Donald Trump. Sulla debolezza dimostrata e sui risultati dell’incontro che non sono certo a suo favore. Anche se si tratta solo di una prima battaglia e non certo dell’esito di una guerra, che appare ancora lunga ed incerta. Lo stesso Presidente americano avrà modo di riflettere per vedere in che modo la sua strategia dovrà essere aggiornata per evitare l’impressione di un’eccessiva dipendenza nei confronti del Cremlino.

Nel frattempo gli Europei non demordono. Respingendo le critiche e le intimidazioni di Putin, hanno ribadito le proprie posizioni: una pace giusta e duratura, partecipazione diretta dell’Ucraina alle trattative (fatto a quanto pare ormai acquisito), garanzie per la sicurezza di quel Paese e, di conseguenza, per l’intero Continente, rispetto del diritto internazionale per quanto riguarda l’inviolabilità dei confini, appoggio incondizionato alla lotta di quel popolo. Una goccia nel mare di questa complicata vicenda? Forse, ma una goccia che scava la pietra. Al punto dall’aver convinto lo stesso Trump: l’Ucraina, comunque vada a finire, alla fine dovrà essere garantita nelle sue libertà fondamentali. Un bel passo in avanti. Non c’è dubbio.

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