Era largamente prevedibile che Giuseppe Conte in Italia, dimentico dei tempi in cui si vantava di una certa simpatia manifestatagli dal già allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump, si mettesse alla testa delle proteste dandogli del “criminale” per l’intervento nella guerra in corso di Israele all’Iran con tipi di bombardamenti che solo gli americani sono in condizioni tecniche di fare sulle caverne nucleari degli ayatollah. La corsa a Palazzo Chigi che Conte persegue da quando si sentì ingiustamente estromesso per lasciarlo a Mario Draghi val bene una messa, come Parigi, secondo le celebri parole che riportano a re Enrico IV di Francia.
Altrettanto prevedibile era che il solito Marco Travaglio, sempre convinto – credo – dell’eredità cavouriana di Conte, gli andasse dietro anche questa volta declassando Trump ad un criminale di rimorchio, diciamo così. A rimorchio, in particolare, di quel “vero padrone del mondo” che sarebbe il premier israeliano Netanyahu, che di criminale ha peraltro anche l’aspetto giudiziario con quel mandato di cattura emesso contro di lui dalla Corte Internazionale eccetera eccetera. Come un qualsiasi Almasri, il generale libico catturato e liberato dall’Italia in un’operazione al vaglio del tribunale dei ministri di Roma.
Anche Putin, in verità, è un criminale di guerra ricercato per quello che sta facendo in Ucraina da più di tre anni, ma questo è un particolare che solo a un ingenuo o rincitrullito come me poteva venire in testa di ricordare.
Tutto prevedibile, anzi previsto, ripeto. Ma francamente non mi aspettavo che, per quanto già espostosi con una mezza invettiva contro la pretesa anche di Trump, e non solo di Netanyahu, di provocare in Iran un cambiamento di regime, Paolo Mieli presiedendo una sezione speciale di carta della Corte Internazionale dell’Aja a Milano, in via Solferino, giudicasse e condannasse Trump per “aperta violazione della legalità internazionale”, per niente compromessa evidentemente dalla regia iraniana del terrorismo islamista. E indicasse il presidente americano, nell’editoriale odierno del giornale già diretto due volte, come un irresponsabile che “spinge il mondo intero sull’orlo di una guerra mondiale” Che, in verità, era stata già avvertita “a pezzi” da Papa Francesco prima ancora che Trump tornasse alla Casa Bianca per la sua seconda avventura presidenziale.
Più comprensivo era apparso a prima vista, sempre sul Corriere, Antonio Polito scrivendo che “il problema non è se l’America debba impegnarsi nel mondo perché deve”. “Ma -ha aggiunto Polito- come lo fa. E sul “come” altalenante e improvvisato di Trump è lecito avere molti, molti dubbi”. Sino a ritrovarsi con Mieli, e persino con Conte?