Con Trump gli annunci non finiscono mai. Il settore farmaceutico poi ha sentito di tutto. Prima le rassicurazioni ad alcuni dei più noti Ceo riguardo ai timori di politiche sfavorevoli da parte del segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr. (famoso per le sue posizioni contrarie ai vaccini), poi l’annuncio di dazi che, sempre secondo quanto detto dal presidente Usa, potrebbero essere del 25% come del 200%.
Domenica l’annuncio di un ordine esecutivo per ridurre immediatamente i prezzi dei farmaci da prescrizione nel Paese del 30-80%, che ieri è stato firmato.
Ecco cosa prevede e come hanno reagito le case farmaceutiche.
PERCHÉ UN ORDINE ESECUTIVO PER RIDURRE I PREZZI
Che i prezzi dei farmaci negli Stati Uniti siano molto più cari che negli altri Paesi – come afferma Trump – è vero. Ma perché? Su Truth il presidente ha scritto che “è sempre stato difficile da spiegare e molto imbarazzante, perché, in realtà, non c’era una risposta giusta o legittima” e che “le aziende farmaceutiche hanno sostenuto per anni che il motivo fossero i costi di ricerca e sviluppo, e che tutti questi costi fossero – senza alcuna giustificazione – a carico esclusivamente degli ‘sprovveduti’ americani”. Ora, ha aggiunto ieri Trump, “anche l’Europa deve contribuire a sostenere questo peso”.
Nel 2021, osserva la Bbc, l’Ufficio di rendicontazione del governo degli Stati Uniti ha effettuato un confronto con Australia, Canada e Francia e ha scoperto che nel Paese i farmaci da prescrizione erano in media da due a quattro volte più costosi. Sia Democratici che Repubblicani hanno provato ad affrontare il problema, ottenendo però scarsi risultati.
PERCHÉ GLI USA PAGANO DI PIÙ PER I FARMACI
Trump ha attribuito la mancanza di progressi all’influenza delle lobby farmaceutiche e alle ingenti donazioni ai membri del Congresso. “La lobby dei farmaci è la più potente – ha detto -. Ma da oggi, gli Stati Uniti non sovvenzioneranno più l’assistenza sanitaria dei Paesi stranieri, cosa che stavamo facendo”.
Se la lobby dei farmaci ha sicuramente molto potere è anche vero che, come spiega Bbc, “gli Stati Uniti hanno un sistema sanitario particolarmente complesso – che include una vasta industria assicurativa privata, sussidi da parte dei datori di lavoro e programmi di assicurazione pubblicamente finanziati per gli anziani e i poveri, noti rispettivamente come Medicare e Medicaid”.
Anche Reuters ha precisato che “a differenza della maggior parte dei Paesi, che negoziano direttamente con le aziende i prezzi dei farmaci, gli Stati Uniti hanno limitate capacità di negoziazione diretta e si affidano a intermediari privati (pharmacy benefit managers) per trattare i prezzi all’interno dei piani assicurativi”.
I dazi poi potrebbero aumentare ulteriormente i costi.
LA STRATEGIA DI TRUMP
L’ordine esecutivo per “riequilibrare il mercato”, con cui Trump stima di ridurre in media i prezzi dei farmaci da prescrizione del 60% e con punte fino al 90%, prevede che entro 30 giorni le aziende farmaceutiche inizino far pagare ai pazienti statunitensi il prezzo più basso pagato per lo stesso farmaco in un Paese alla pari, altrimenti ci saranno conseguenze.
“C’è una nuova parola che ho inventato, che credo sia probabilmente la migliore: ‘equilizzeremo’ il sistema, quindi pagheremo tutti la stessa cifra – ha dichiarato Trump -. Il principio è semplice: qualunque sia il prezzo più basso pagato per un farmaco in altri Paesi sviluppati, quello è il prezzo che pagheranno gli americani. Uso il termine ‘altri Paesi sviluppati’ perché ci sono alcuni Paesi che hanno bisogno di ulteriore aiuto, e va bene così”.
Quella messa in pratica da Trump è la cosiddetta politica del “Paese più favorito”, o International Reference Pricing, ovvero un meccanismo attraverso il quale i prezzi dei farmaci in un Paese vengono stabiliti o adeguati in base ai prezzi praticati in altri Paesi.
La Casa Bianca inoltre vuole che le aziende farmaceutiche vendano più prodotti direttamente ai consumatori – eliminando le compagnie assicurative e gli intermediari privati – e che si valuti la possibilità di importare farmaci da Paesi stranieri dove vengono venduti a prezzi inferiori. Tale proposta ha già incontrato ostacoli in passato a causa di norme sulla sicurezza e sul commercio.
QUALI CONSEGUENZE PER LE BIG PHARMA CHE NON SI ADEGUANO
“Big Pharma dovrà rispettare volontariamente questo principio oppure useremo il potere del governo federale per assicurarci di pagare lo stesso prezzo degli altri Paesi, al fine di accelerare queste restrizioni e riduzioni di prezzo”, ha aggiunto il presidente Usa, anche se – scrive Cnn – “non è chiaro quale autorità abbia per imporre determinati prezzi, in particolare nel mercato privato”.
L’ordine esecutivo ha delineato alcune possibili conseguenze nel caso in cui i produttori non compiano progressi significativi nella riduzione dei prezzi, tra cui incaricare il dipartimento della Salute di elaborare una norma per attuare la politica, consentire una maggiore importazione di farmaci negli Stati Uniti, riesaminare le esportazioni di farmaci e far sì che la Food and Drug Administration (Fda) modifichi o revochi le autorizzazioni concesse a farmaci che potrebbero essere “non sicuri, inefficaci o commercializzati in modo improprio”.
GLI ESPERTI DUBITANO DEI RISULTATI
Tuttavia, gli esperti sono molto scettici riguardo a tali affermazioni e i movimenti del mercato azionario indicano che gli investitori ritengono che l’impatto immediato sarà minimo.
“Agiranno davvero [le case farmaceutiche]? Forse. Diranno di averlo fatto? Sicuramente. Se questo porterà a una riduzione duratura e significativa degli straordinariamente alti prezzi dei farmaci negli Stati Uniti è molto incerto. Questa è retorica, non realtà”, ha detto Alan Sager, professore di politiche sanitarie alla Boston University. Parere condiviso da Evan Seigerman, analista farmaceutico di BMO Capital Markets.
Anche per altri analisti del settore, scrive Cnn, “l’ordine esecutivo fa più rumore che danno reale e non è stato così incisivo come temevano alcuni”.
Alcuni esperti legali citati da Reuters, invece, hanno sottolineato le sfide dal punto di vista normativo che probabilmente l’ordine esecutivo dovrà affrontare, soprattutto perché potrebbe superare i limiti imposti dalla legge statunitense, inclusi quelli relativi all’importazione di farmaci dall’estero.
Andrew Mulcahy, economista sanitario della RAND Corporation, un’organizzazione no-profit di ricerca, ha espresso dubbi su come politiche che legano i prezzi dei farmaci negli Stati Uniti a quelli esteri potrebbero essere effettivamente progettate e implementate, soprattutto senza il coinvolgimento del Congresso. “È molto più facile per il governo intervenire su Medicare e Medicaid che sul mercato commerciale o direttamente nella catena di approvvigionamento”, ha spiegato.
LA REAZIONE DELLE AZIENDE E DEI TITOLI
Nemmeno le aziende farmaceutiche, secondo Cnn, sembrano essere state scosse dall’annuncio e i titoli azionari dopo un calo in seguito all’anticipazione dell’annuncio da parte di Trump hanno registrato una rapida ripresa non appena è stato svelato il piano. “Un segnale che gli investitori non si aspettano un impatto significativo da queste misure”, scrive Bbc.
La Pharmaceutical Research and Manufacturers of America (PhRMA), principale associazione di categoria del settore, ha elogiato Trump per aver assunto una posizione dura nei confronti degli altri Paesi: “L’amministrazione ha ragione a usare i negoziati commerciali per costringere i governi stranieri a pagare la loro giusta quota per i farmaci. I pazienti americani non dovrebbero sostenere da soli il costo dell’innovazione globale”, ha dichiarato Stephen Ubl, Ceo di PhRMA.
L’industria, tuttavia, “è fortemente contraria”, afferma Reuters, alla prospettiva di un abbassamento drastico dei prezzi dei farmaci negli Stati Uniti, il mercato farmaceutico più grande al mondo.
PhRMA, inoltre, ha dei dubbi sull’introduzione della politica del “Paese più favorito”: “Importare i prezzi stranieri da Paesi socialisti sarebbe un pessimo affare per i pazienti e i lavoratori americani – ha detto Ubl -. Significherebbe meno trattamenti e cure disponibili e metterebbe a rischio le centinaia di miliardi che le nostre aziende associate stanno pianificando di investire in America – minacciando i posti di lavoro, danneggiando la nostra economia e rendendoci più dipendenti dalla Cina per i farmaci innovativi”.
Anche per John Crowley, Ceo di BIO, il principale gruppo di commercio statunitense per le aziende biotecnologiche, questa politica “è una proposta profondamente imperfetta che devasterebbe le piccole e medie aziende biotech del Paese”.