“Cannate”, come si dice in gergo giornalistico, tutte le previsioni di notistoni e editorialistoni dei cosiddetti giornaloni. Che poi fanno pure rima con il cognome del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
Abituati a cercare di tenere da quasi tre anni ormai in uno stato di aspettativa permanente di una crisi, minicrisi, verifica di governo o vattelappesca i poveri lettori tenuti sulle spine, come in una interminabile telenovela alla “Beautiful”, dove anche l’inarcare di un sopracciglio oppure un colpo di tosse nel colloquio tra un alleato e l’altro del centrodestra vengono amplificati come segni premonitori, l’ultima topica l’hanno presa con certe previsioni sul meeting di Rimini. Non che certamente si aspettassero una lite a scena aperta tra Meloni e il suo vicepremier Matteo Salvini, dopo quel “Taches al tram” sul no ai soldati in Ucraina a Emmanuel Macron. Ma sul fatto che lui avrebbe parlato dopo di lei, il premier, si era ricamato abbastanza, parlando di presunte irritazioni se non preoccupazioni del premier per il suo vice “discolo”, secondo certa vulgata un po’ da bar sport.
Risultato: dal meeting di Rimini il governo esce saldo, con Meloni, che, omaggiata da una serie di standing ovation da far rosicare più che mai tutta la sinistra e i suoi centrini, annuncia, dopo aver avuto un colloquio con lo stesso Salvini, ministro delle Infrastrutture e Trasporti, che ringrazia pubblicamente, un grande piano sulla casa per aiutare le giovani coppie. E combattere il grave fenomeno della denatalità.
Meloni, nel suo lungo e articolato discorso, uno dei più completi e applauditi da quando è a Palazzo Chigi, dai contenuti e toni conservatori, liberali, cattolici, che rivendicano il ruolo della politica a fronte di una giustizia da riformare (passaggio particolarmente applaudito, anche riferito agli sbarchi: no a una “minoranza di giudici politicizzati che provano a sostituirsi al parlamento e alla volontà popolare”, anche se questo “non significa sottomettere la magistratura al potere esecutivo, ma liberare la magistratura dalla malapianta delle correnti politiche e dei pregiudizi ideologici”), disegna un’Europa “pragmatica” e non “burocratica”. Smentisce di fatto seccamente la vulgata che dà a lei e a Salvini, pur con le differenze di collocazione nella famiglie europee, la patente di “sovranisti” come un’infamità.
Il premier dà ragione a Mario Draghi che aveva sferzato la Ue per la sua inadeguatezza di fronte alle sfide epocali, aggravate anche dalle guerre in corso, di un ordine mondiale mutato. Ma Meloni ricorda a SuperMario che quelle cose lei le diceva prima di lui quando collocò FdI all’opposizione del suo governo di emergenza nazionale. E Salvini, intervistato dopo da Maria Antonietta Spadorcia, vicedirettore del Tg2, citando sempre l’ex capo della Bce e ex premier ricorda anche lui che certe critiche la Lega all’Europa intesa come super-stato burocratico le faceva già dagli anni 80.
Salvini cita il modello della Comunità economica europea per sottolineare che “la peculiarità degli stati non deve essere soffocata”. FdI di Meloni appartiene ai Conservatori e non al gruppo dei Patrioti come la Lega di Salvini, ma anche nel suo discorso è centrale il concetto che la Ue non debba essere un super-stato burocratico e che l’Europa “faccia meno, ma faccia meglio”, rispettando le “identità nazionali, sublimandole”. Il premier cita anche il ministro degli Esteri, vicepremier, Antonio Tajani, leader di FI, elogiandolo per l’impegno che fa stare l’Italia in prima fila nell’aiuto ai profughi della guerra di Gaza, per la quale chiede da Paese “amico di Israele” con il rilascio degli ostaggi israeliani il cessate il fuoco al governo Netanyahu, criticato per la reazione “oltre il principio di proporzionalità” all’orrore del massacro da parte dei terroristi di Hamas il 7 ottobre di quasi due anni fa.
Altro passaggio centrale nel discorso del premier, che ricorda come i dati economici positivi abbiano già smentito “i gufi”, la necessità di di fare di più con “l’aiuto al ceto medio”. Che Tajani, anche lui ospite del meeting nei giorni scorsi, con FI ha già posto da tempo. E che torna nelle parole di Salvini il quale ricorda che la Lega e il centrodestra sono “contro l’assistenzialismo per crescita e sviluppo”. Il Ponte dello Stretto sottolinea che “costerà meno della metà del reddito di cittadinanza”. Quanto a Macron, scherza: “Non gli hanno tradotto il dialetto milanese”. Ma ribadisce: “Posso assicurare che non solo la Lega ma il governo tutto non manderà soldati a combattere in Ucraina”. Alla quale Meloni ribadisce tutto il sostegno ricordando che se si è aperto “uno spiraglio di pace non è solo merito di Trump ma anche dell’Europa” e dell’Italia che ha fatto l’unica proposta sulle garanzie finora sul tavolo e cioè l’applicazione dell’articolo 5 della Nato, per scongiurare future aggressioni.
E la durata del governo? Salvini lancia l’auspicio che ci sia un governo di centrodestra anche nel 2032, “quando spero che sia Macron il primo ad attraversare il Ponte”. Premier e vicepremier alla fine sembra non si siano incontrati. Ma questa sarà un’altra puntata della “Beautiful” mediatica alla vana ricerca di spiragli di crisi, minicrisi, semicrisi etc. Facendo ogni volta, come in tutte le telenovele, restare i lettori a bocca asciutta.